In Afghanistan senza troppo impegno

/ 30.08.2021
di Aldo Cazzullo

Come si può essere così feroci, diciamo pure così cattivi, da colpire una folla inerme che tenta di entrare nell’aeroporto di Kabul per sfuggire a morte certa? Eppure è accaduto. Un altro evento terribile, che rende ancora più grave il bilancio di quanto è successo. La discussione su un fatto epocale come la caduta di Kabul e l’umiliazione dell’Occidente deve partire però dal chiarimento di un equivoco. Venti anni fa in Afghanistan non ci fu nessuna vittoria occidentale, americana o della Nato. Ci fu una serie massiccia di bombardamenti Usa che colpirono duramente i talebani e diedero ai loro nemici interni la forza di entrare a Kabul, che cadde nello stesso modo repentino e inatteso di queste settimane.

I nuovi padroni vennero definiti impropriamente l’Alleanza del nord, e tra loro primeggiava quel Dostum di cui adesso si finge di scoprire che non era un sincero liberaldemocratico con la casa piena di libri, ma un capoclan che arredava la sua reggia con il gusto e il senso del bello appunto di un capoclan. All’indomani dell’attacco alle Torri gemelle, l’America in sostanza intervenne in una guerra civile afghana, che si combatteva da tempo, spostandone gli equilibri a sfavore di un regime che proteggeva Osama Bin Laden. Nei venti anni successivi le truppe occidentali si limitarono, con alcuni contrattacchi quando la situazione si faceva troppo difficile, a contenere e di fatto rinviare la riscossa dei talebani, i quali adesso – con il ritiro giustappunto dell’aviazione Usa e dei contractors che consentivano a quella afgana di volare – si sono presi una rivincita di cui erano incerti i tempi, non la sostanza (tutto questo ovviamente non rappresenta un’attenuante per l’Occidente, semmai un’aggravante).

La vera guerra americana è sempre stata quella irachena. In Iraq i diversi presidenti – a cominciare da Bush junior, che con Saddam aveva ereditato dal padre un conto aperto – hanno profuso una quantità di risorse, armi, uomini ed energie incomparabile rispetto all’Afghanistan. E in effetti, pur dopo immenso dolore, oggi a Baghdad c’è un Governo – sciita, com’è ovvio che sia in un Paese dove la maggioranza sciita era stata tenuta a lungo sotto il tallone della cricca sunnita del dittatore – che bene o male regge, nonostante il disimpegno americano in corso. Resta, quella irachena, una guerra che era meglio non fare. Ma in Iraq oggi davvero di Saddam non resta nulla, tanto meno nelle regioni settentrionali dove il coraggioso popolo curdo si è conquistato un’ampia autonomia. In Afghanistan l’America si è mossa sempre senza impegnarsi sino in fondo, senza affrontare davvero il nemico o supposto tale; e non si saprebbe dire chi ha sbagliato di più tra Bush che disperse le forze, Obama che autorizzò escalation inutili, Trump che condusse negoziati maldestri e Biden che ha fallito clamorosamente la gestione operativa e mediatica del ritiro.

Il paragone con Saigon 1975 è suggestivo ma improprio. Là non c’era una galassia di fazioni come quella che per semplicità chiamiamo talebani. C’era il governo filosovietico di Hanoi con cui negoziare. All’epoca Nixon e Kissinger capovolsero la partita geopolitica, avviando il dialogo con Mao, riconoscendo la Cina popolare, spaccando il fronte comunista (e Pechino sarebbe arrivata a combattere con il Vietnam una guerra di confine). A quel punto, tenere Saigon a ogni costo non era più una necessità strategica e gli alleati sudvietnamiti vennero abbandonati al loro destino. Oggi il Vietnam è una potenza capitalista, che ha superato la Germania per numero di abitanti e dialoga con l’Occidente. Ma Biden e la nuova Amministrazione democratica non hanno compiuto alcun progresso significativo nel rapporto con il mondo islamico. Anzi, ereditano le conseguenze del disimpegno di Trump dal Nord Africa e dal Medio Oriente, dove il vuoto purtroppo non è stato riempito dall’Europa ma nell’immediato dalle potenze regionali – Turchia, Arabia Saudita, Iran – e in prospettiva da Russia e Cina.

Il problema è che proprio sull’Europa gravano ora le principali incognite, sia in termini di migrazioni – davvero tutto quello che Angela Merkel ha da proporre è un altro assegno a Erdogan perché si tenga i profughi? – sia in termini di contrasto al terrorismo islamista, che in questi anni ha colpito duramente in quasi tutte le capitali, arrivando a ribaltare l’esito delle elezioni spagnole del 2004 e a cambiare la storia francese con lo shock del Bataclan. In Italia alcuni esponenti politici che non saprei se definire ingenui o irresponsabili hanno fatto un’apertura di credito ai talebani, confidando nel fatto che siano cambiati. Ovviamente con il nemico si parla, da sempre. Dialogare è inevitabile. Quel che non si può fare è fingere che il nemico sia diverso da ciò che è. I talebani apriranno ai russi, forse ai cinesi. Ma dopo vent’anni di guerra non diventeranno certo amici dell’Occidente di punto in bianco e senza contropartite.