Implacabile Ceronetti

/ 20.05.2019
di Bruno Gambarotta

Guido Ceronetti, nato a Torino e morto a Cetona, ha voluto riposare nel cimitero di Andezeno, paese di origine dei suoi genitori. Ancora in vita e molti anni prima di morire, aveva preso la saggia decisione di destinare il suo archivio alla biblioteca di Lugano. Il Comune di Andezeno, per onorarne la memoria, ha promosso un premio di poesia riservato agli studenti di terza media. Una giuria, della quale facevo parte, sui 48 finalisti ha indicato i cinque vincitori.

È stata l’ennesima smentita al luogo comune che vuole i giovanissimi concentrati a smanettare sui tablet e insensibili alla poesia. Gli insegnanti di questi ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro. In questi elaborati, contrassegnati da un numero al posto di un nome svelato solo al momento della proclamazione dei vincitori, circolava un’aria a volte ingenua ma sempre limpida, con un’intatta fiducia nel valore salvifico della parola. In molti componimenti brillavano schegge meritevoli di essere ricordate. La vita: «Un po’ amici e un po’ nemici. Una vita per fare un’amicizia. Quindici secondi per distruggerla». Trapela l’influenza di Ceronetti che probabilmente è stato letto e commentato in classe. «Non scordare mai perché il male non va via, si nasconde, si prende una pausa». Un altro: «Eravamo due gocce di pioggia in una serata estiva che finiscono nel silenzio più atroce». E ancora: «In questa corsa chiamata vita di cui il traguardo è oblio e sofferenza». Una terza: «Vivere vuol dire essere, fingendo di essere».

Guido Ceronetti abita i miei pensieri da molti anni, a iniziare dal traduttore eccelso. A Roma, una sera del 1969, a casa di Luigi Malerba, avevo avuto la ventura di sfogliare il Millennio Einaudi delle poesie di Catullo da lui tradotte. Da allora non ho smesso di placcarlo: gli epigrammi di Marziale, le Satire di Giovenale, l’Ecclesiaste, i Salmi. E lo scrittore in prima persona, a partire dal suo Difesa della luna e altri argomenti di miseria celeste, 1971. Ho atteso 26 anni, fino al 1997, per avere una dedica autografa dell’autore.

L’evento si è verificato in occasione del conferimento a Guido Ceronetti della massima onorificenza prevista dagli Statuti della Confraternita della Bagna Cauda in Nizza della Paglia. Terminata la cerimonia noi confratelli ci dedicammo a una bagna cauda per 600 invitati mentre il Premiato, chiuso in una stanzetta si preparava le salutari pappette e i deliziosi infusi che ben conoscono i suoi lettori.

Guido Ceronetti, come tutti i grandi catastrofisti e profeti di sventure, è una sferzata di energia per il lettore. Tuffarsi nel suo pessimismo cosmico tonifica, è un efficace antidoto contro la ritornante illusione che si possa migliorare la natura umana, nutrita dagli autori degli efferati disastri che hanno costellato il secolo scorso. Leggi la sua descrizione del panorama di rovine prossimo venturo e ti rallegri constatando che, ancora per un giorno, hai scampato l’apocalisse. Che verrà, certamente verrà, ma noi lettori di Ceronetti non saremo sorpresi dal suo arrivo. E poi c’è lo stile, inarrivabile. Sono applicabili a lui le parole che dedica a uno dei suoi autori prediletti: «Qualcosa in Cioran fa subito subodorare un miracolo: il suo linguaggio. Una densità concettuale imprevedibile cala in figure di folgore sulla mente che ascolta, lasciando sui lembi del luogo comune carbonizzati una lenta eco di melodia notturna che svanisce planando». La verità prima di tutto.

Nel suo Il silenzio del corpo, Ceronetti scrive: «La verità è sempre terapeutica, splendidamente filantropica: faccio il medico cercandola, e i limiti di chi cerca la verità sono gli stessi del medico che pratica la medicina ordinaria, brancicante tra le sfibranti apparenze della vita e della morte». È vero: Guido Ceronetti è un medico, mancato ma pur sempre medico, come i tre che Carlo Ginzburg in Spie. Radici di un paradigma indiziario indica come gli iniziatori del processo di conoscenza attraverso gli indizi: Giovanni Morelli, storico dell’arte, Arthur Conan Doyle e Sigmund Freud. Infine era medico, e praticante, uno degli autori prediletti da Ceronetti, Louis-Ferdinand Céline.

Il bulino ceronettiano è implacabile e insieme pietoso. Per dare un’idea delle vertiginose profondità che può raggiungere, chiudiamo quest’omaggio con un’ultima citazione, da Il silenzio del corpo: «Anche la vita più povera e squallida è un dramma eschileo se si pensa alla tragedia delle funzioni, ai bisbigli delle secrezioni, ai silenzi degli organi, agli sforzi della memoria, al brancicare della voce, al sangue che ruota, ai miasmi mortali, alle risse tra microrganismi, alle guerre spermatiche, alle eruzioni cellulari, alle pestilenze dei nervi, alle predestinazioni biochimiche, al fato che a poco a poco ti introduce nel morbo finale, alle piaghe, ai foruncoli scoppiati, ai serpenti della pazzia, alle cagne furiose della fame».