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Immergersi nella corrente della vita

/ 31.05.2021
di Silvia Vegetti Finzi

Cara Silvia,
mia mamma ti legge sempre e anch’io da un po’ di tempo ho preso questa abitudine. Mi piace conoscere i casi degli altri e vedere come li spieghi perché dei miei non ci capisco niente.
Ho quasi 32 anni e, come avrai intuito, vivo ancora in famiglia. Non che sia rassegnata a starci per sempre ma il principe azzurro non si vede e la vita da single – panino la sera davanti alla tele – non fa per me.
Cercare in Rete l’anima gemella mi ha sempre spaventato. Non sono Cappuccetto Rosso ma so che il bosco esiste, e anche il lupo. Sinora, lo confesso, ho collezionato una serie di sfigati senza pari: il don Giovanni che colleziona le sue vittime per vantarsene con i colleghi, quello che si fa pagare persino il cappuccino; quello che passa tutto il tempo a parlare della ex che lo ha lasciato per un altro; il sedicente scrittore e così via. Tutti impossibili.
Non vorrei diventare l’Enciclopedia delle delusioni perché, a questo punto, anche le amiche sono stufe di ascoltare i miei lamenti. Cosa posso fare? Urgono consigli. Grazie. /
Monica

Cara Monica,
per fortuna non ti manca l’ironia e questa è già una bella consolazione. Ma la protagonista della tua vita sei tu e, quando la serie delle delusioni sembra non finire mai, quando episodi simili s’inanellano uno dopo l’altro, abbiamo a che fare con una «nevrosi del destino». Il termine è stato coniato da Freud che, nella pratica clinica, di casi simili sembra averne incontrati molti, e non solo femminili. Che cos’è una «nevrosi del destino»? Benché non emergano sintomi patologici, esiste una volontà di difendersi dalle frustrazioni che finisce paradossalmente per provocarle.

Probabilmente, dopo la prima delusione, il primo abbandono, che mi sembra quello del traditore seriale che ti ha messo alla berlina con i colleghi e le colleghe, hai deciso, inconsciamente, di non soffrire più. E che cosa fai allora per non sentirti vittima? Scegli delle persone inaccettabili e le pianti in asso tu stessa. Vi è una certa soddisfazione dal passare da una condizione passiva (essere abbandonata) a una condizione attiva (abbandonare). Ma il gioco ti è sfuggito di mano ed è scattato quel meccanismo nevrotico che si chiama «coazione a ripetere». La cosa funziona forse così: consapevolmente accetti o provochi la disponibilità o le proposte di un corteggiatore ma, inconsapevolmente, cominci a prevedere che la relazione non funzionerà, che non è la persona giusta, che sei incappata nel solito inganno. E, come si sa, le previsioni tendono ad autorealizzarsi. Per cui l’episodio si conclude con un addio e un sospiro di sollievo: lo sapevo! Scampato pericolo. Il problema di trovare l’anima gemella però persiste e, hai ragione, qualcosa bisogna fare. Innanzitutto la consapevolezza è già un primo passo per spezzare la catena della ripetizione. Sono i ricordi negativi che fanno scattare ogni volta il campanello d’allarme obbligandoti a porti sulla difensiva, col rischio di lasciarti sfuggire l’occasione buona. Nel caso comparisse il Principe Azzurro cominceresti infatti a chiederti: «possibile?», «non sarà l’ennesima illusione?», «Monica non lasciarti ingannare!». Quando inizia una relazione effettivamente il rischio c’è ma senza rischi non si vive. Molte volte la paura di soffrire ci sottopone a una morte a piccole dosi. Il «sedicente scrittore», ad esempio, potrebbe essere una promessa della letteratura, perché no? E magari, svanita l’illusione del successo, diventare un professionista della penna apprezzato in altri ambiti, come il giornalismo o l’editoria.

Per nutrire fiducia nel prossimo dovrai innanzitutto recuperare fiducia in te stessa e trovare il coraggio di immergerti nella corrente della vita senza paura di affogare. Chi rimane sulla sponda vede il tempo trascorrere restando al riparo dalla sofferenza ma, senza affrontare l’eventualità del dolore, senza mettersi in gioco, si può solo perdere.

Tuttavia non disperare: questa lettera rappresenta una svolta importante perché sei passata dall’autocompatimento alla richiesta di aiuto, una richiesta che rivolgi a te stessa ancor prima che a me e che io ti rimando sicura che saprai farne buon uso.

Oggi 32 anni sono pochi, sei una giovane donna, e non puoi condannarti alla solitudine, una condizione che non fa per te e alla quale tenti di sottrarti. Certo i tempi in cui viviamo non promuovono atteggiamenti di fiducia e di speranza. La pandemia e il conseguente lockdown ci hanno obbligato a vedere nell’altro una minaccia di contagio e a porre, nei suoi confronti, comportamenti di distanziamento. Ma stiamo finalmente scorgendo la fine del tunnel e la luce che splende là in fondo promuoverà in tutti noi, e soprattutto in te che li vai cercando, cambiamenti inattesi. Con tanti auguri da parte della Stanza del dialogo, attendiamo il seguito della tua storia.