Il Wagristoratore sul Passo San Giacomo

/ 18.09.2017
di Oliver Scharpf

Di solito se c’è una coda rinuncio volentieri, ma quella domenica di aprile un anno fa, nel cortile della Casa degli Atellani in corso Magenta a Milano, no. E non mi è pesato per niente stare in coda almeno un’oretta per vedere l’appartamento dello stravagante architetto Piero Portaluppi (1888-1967) aperto straordinariamente al pubblico. In verità, folgorato dalla foto del camino, ero andato lì quasi solo per quel camino ettagonale in marmo. Una notte d’inverno poi, davanti al camino, studiai tutta la geografia portaluppiana da queste parti.

Tracce di Portaluppi portavano a Laveno-Mombello: lo stabilimento della Società Ceramica Italiana (1926) sembrava essere ancora in piedi benché pericolante e di arduo accesso. Ma è dall’altra parte del lago Maggiore che partiva il filone d’oro da seguire, su per la Val d’Ossola: Verampio, Crego, Baceno, Valdo, Sottofrua, Crevoladossola, Cadarese. Tra il 1913 e il 1925, grazie anche al suocero Ettore Conti che era nel ramo, Portaluppi costruisce sette centrali idroelettriche una più entusiasmante dell’altra; una specie di eccentrica città elettrica diffusa. Eppure, per cogliere l’apice della sua stravaganza, bisogna spingersi ancora più su, alla fine della Val Formazza. È il pazzesco Wagristoratore (1930) sul Passo San Giacomo (2313 m).

All’Acqua, un mattino di settembre, l’odore energetico dei larici. Da qui in due ore e venti dovrei raggiungere lo storico passo tra la Val Bedretto e la Val Formazza. Del Wagristoratore rimane ben poco, ma qualcosa rimane ed è quel che conta. In marcia dunque, accanto al Ticino giovincello che scorre limpido tra vecchi larici commoventi. A parte il consueto tempo approssimativo di percorrenza indicato dai cartelli, ce ne metto molto di più. A causa di accurate scorpacciate di mirtilli. Le cui foglioline incominciano, in parte, a prendere un tono rossastro, formando così incantevoli macchie tra quelle ancora ben verdi dei rododendri sfioriti. Nei pressi del passo la bellezza è più brulla, da brughiera scozzese. Degno di nota l’umile oratorio di San Nicolao, piacevolmente scalcinato stile Cicladi. Provo la stessa fatica di pellegrini e contrabbandieri.

Va da sé, non c’è nessuna indicazione per il Wagristoratore, ma ho letto da qualche parte che passato il confine, ci vuole circa un chilometro. Dopo undici minuti, sulla strada sterrata serpeggiante voluta dall’ansia espansionistica di Mussolini, avvisto i pilastri del Wagri come mi viene spontaneo chiamarlo d’un tratto. Due vagoni del treno poggiavano su questi pilastri. Da qui il nome, formato da tre lettere tratte dai wagon-lits o wagon-restaurant e la parola ristoratore, termine in disuso per il buffet delle stazioni. Non sette come quelli della saggezza di Lawrence d’Arabia, ma sette coppie di pilastri quadrangolari si stagliano nell’erba come resti archeologici. Al cospetto dell’allineamento di Stonehenge non potrei essere più felice. Distrutto durante la guerra – chi dice dai nazifascisti chi dai partigiani – restano questi quattordici totem che sostenevano il culmine dell’ironica sprezzatura di Portaluppi. Moderne rovine. Eroici testimoni, bistrattati da ottantasette anni, dell’insuperato progetto che coniugava «l’Orient-Express, il fast food e il rifugio d’alta quota» come scrive Marco Biraghi su un numero di «Casabella».

Tra i due vagoni, uno dei quali per dormire, il progetto di Portaluppi prevedeva un delirante corpo di fabbrica che richiamava, stilizzato, San Giacomo pescatore sul lago di Tiberiade. Un secondo disegno lo tramuta in una specie di chalet ibridato con il barocchetto milanese. In cima al secondo di questi disegni rimasti solo sulla carta, Portaluppi annota: «Al passo di San Giacomo pescatore conforto sarà il Wagristoratore». Laggiù c’è il lago Toggia con la sua diga, alle spalle le rocce delle alpi lepontine sono avvolte da nubi minacciose. Chissà che stupore vedere questo paesaggio attraverso il finestrino che lo trasforma in panorama. Trasposizione ferroviaria-ristoratrice in alta montagna, folle delocalizzazione con i piedi per terra. I pilastri sono fatti di sassi e intonacati. Alcuni si stonacano e mostrano appunto le pietre, due sono tutti nudi. Le screpolature creano involontariamente una specie di effetto marmo, in certi punti si ammirano licheni color ruggine.

Ispeziono l’incavo di un pilastro diroccato e trovo solo delle Fanta antiche. Mi sdraio nell’erba profumata e mentre filtrano raggi di sole mi rifocillo di sandwich all’avocado. L’ultima delle mie manie, mangerei solo questi sandwich morbidi spalmati di crema d’avocado come i koala si cibano esclusivamente di eucalipti. Fischi di marmotta segnalano la mia presenza. Se è stato fatto saltare in aria m’immagino magari dei pezzi rimasti in giro. Perlustro così a tappeto la zona, ma trovo solo tane di marmotta, merde di vacca, truppe di pelose pulsatilla alpina. Alcuni sostengono invece che negli anni cinquanta le carrozze erano qui ancora intatte, poi sono sparite di colpo.