Il valore della fiducia

/ 11.05.2020
di Lina Bertola

Durante questa pandemia siamo stati e continuiamo ad essere sollecitati e incoraggiati all’esercizio della nostra responsabilità individuale. Nello stesso tempo, però, siamo invitati a lasciar entrare nelle nostre vite, a volte in modo pervasivo, forme molteplici di controllo. E ciò perché sembra assolutamente necessario controllare i nostri comportamenti, anche se questi dovrebbero ispirarsi all’accresciuta responsabilità di ognuno di noi.

E qui nasce un bel pasticcio etico, perché la responsabilità richiede fiducia mentre nel controllo si insinua sempre il sospetto di una sempre possibile trasgressione. Fiducia e sospetto, ovviamente, non possono convivere.

In realtà questo conflitto etico è sempre esistito ma oggi si mostra in modo più evidente. Crea disorientamento, anche se a volte in modo impercettibile, e merita perciò qualche riflessione che potrebbe anche aiutarci, una volta passata l’emergenza, a correggere alcuni aspetti sempre più problematici della nostra convivenza.

Il bisogno di controllo è una vecchia storia che attraversa tutta la nostra civiltà. Tanto per fare solo qualche richiamo, l’etica degli antichi filosofi ha incoraggiato, in forme anche molto diverse, l’esercizio del controllo su di sé che ogni individuo deve realizzare nelle proprie scelte. Controllare gli istinti, i desideri, la volontà: dalla virtù, che sta sempre nel giusto mezzo, di Aristotele, alla rinuncia ai piaceri non necessari di Epicuro, fino alla stoica accettazione del fato, forma sublime di controllo della propria volontà.

Poi ci si è messa, con rinnovato vigore, la scienza moderna. A questo punto si è trattato di controllo del mondo: un mondo reso oggetto di conoscenza, da controllare nei suoi effetti proprio con la conoscenza delle cause. Conoscere è prevedere e, parola di Bacone, imparare, quanto più possibile, a dominare la natura.I progressi della conoscenza, e questa è storia di oggi, ci inducono a credere, illusoriamente, che sia possibile controllare tutto. E che il controllo offra alle nostre vite lo splendido dono della sicurezza.

Facile allora comprendere come, in momenti di grande incertezza e spaesamento, le forme di controllo siano perlopiù accolte, anzi, siano benvenute.Non ci accorgiamo però che questa accoglienza del controllo confligge con un altro aspetto, altrettanto sentito in questo momento, ovvero con l’esercizio delle nostre responsabilità. La responsabilità personale è l’esito più luminoso della forma più autentica di libertà, e cioè dell’autonomia, della capacità di dare leggi a sé stessi, come indica la parola stessa: la forma più autentica di libertà contiene il nomos, la legge. Ma è una legge che nasce in me: devo perché devo, diceva Kant, non in vista di una possibile conseguenza, come potrebbe essere, in questa e in molte altre situazioni, il rischio di una punizione.

L’uomo può essere un soggetto morale, bisogna dargli fiducia. E l’Illuminismo ha riposto molta fiducia nell’umanità.Fiducia: come quella di una mamma che uscendo di casa, invece di lasciare ai figli un elenco di cose da fare o da non fare, lascia loro un semplice messaggio: comportatevi bene!

Fiducia nel fatto che l’educarsi, ovvero il viaggio verso noi stessi che ci accompagna per tutta la vita, passi attraverso la fioritura della nostra intima autonomia.Ma fiducia anche come elemento inaugurale della vita: come lo è la fiducia del neonato che viene alla luce affidandosi alle braccia della mamma.Controllo significa invece sospetto che questa intima fioritura della propria autonomia possa anche non avvenire. Aspettative negative, insomma, di cui tanta psicologia ha raccontato gli effetti nefasti.

Autonomia e controllo, fiducia e sospetto: ecco il conflitto etico che oggi sembra mostrarsi irrisolvibile. O forse no, forse ci può aiutare a meglio comprendere e proteggere il valore inestimabile della fiducia. Che è un rischio, certo, ma forse è l’unico nutrimento capace di far crescere in noi il sentimento del valore e le nostre responsabilità verso ciò che ha valore.

L’etica, prima di essere rispetto dei valori di una società e delle sue regole di convivenza che si offrono a noi dall’esterno, è il riconoscimento del valore. E ciò non può che accadere dentro di noi, perché l’etica, come dice il suo etimo oikos, è la nostra dimora interiore. Il luogo intimo da cui ci apriamo, con fiducia, al nostro vivere e convivere.