Fratelli d’Italia è un romanzo (5½). Anzi, sono tre romanzi, perché passando dalla prima edizione (Feltrinelli 1963) alla seconda (Einaudi 1976) alla terza (Adelphi 1991), il libro si trasforma, cambia, si amplifica (da 532 a 663 a 1371 pagine). L’ha scritto Alberto Arbasino, ma ce ne siamo dimenticati, essendo, quel magmatico triplice libro, rimasto oscurato da un’omonimia di stampo politico. Se oggi andate su Google e inserite la stringa «Fratelli d’Italia», sullo schermo apparirà non il volto composto e borghese di Arbasino ma il viso esultante di una signora bionda. È la legge del primo piano. Quel che arriva per ultimo si prende la vetrina, scaccia e cancella (o nasconde o mette in ombra) tutto ciò che veniva prima: dal 24 febbraio scorso, la guerra in Ucraina ha relegato in secondo piano i titoli sulla pandemia che avevano dominato i giornali per due anni.
Di recente anche alcuni frutti sono caduti in disgrazia su Google. I meloni, ovviamente, ma anche la pera, che da un po’ di tempo cede il passo a Marcello Pera, filosofo e teorico della destra italiana, in odore di diventare ministro di qualcosa. E persino se digitate solo «fratelli» l’esito sarà inequivocabile: sull’atavico, biblico legame di parentela stravince il partito della fiamma. L’algoritmo di Internet è spietato: non guarda in faccia nessuno, né Caino e Abele, né, tanto meno, Arbasino.
Arbasino è morto nel marzo 2020, quando già il partito di Giorgia Meloni cominciava a crescere nel consenso popolare. Su quell’omonimia non ha mai voluto pronunciarsi, ma da buon liberal non doveva averne un gran piacere. È ovvio che l’uno e l’altro, il romanzo come il partito, traggono ispirazione dall’incipit dell’Inno di Mameli. Il primo, il romanzo, per farne la parodia; il secondo, il partito, per esaltarne il contenuto civile, in senso unitario e patriottico. Di fronte ai grandi intellettuali del passato remoto o prossimo, viene sempre naturale una domanda: «Chissà cosa scriverebbe oggi?». Chissà come reagirebbe di fronte all’attuale spettacolo politico Dante Alighieri, il censore della «serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!». E chissà Machiavelli che cosa scriverebbe del «principe» Putin. E chissà Manzoni come racconterebbe la «peste» del Covid. E chissà Pasolini cosa avrebbe da dire sulla Chiesa di papa Francesco, e sulle donne di Teheran, e sulla condanna di Assange, e sulla cancel culture (Pasolini viene evocato più di tutti…). E chissà Arbasino, che per anni aveva sferzato lo «scatafascio» del suo Paese (Un paese senza è un suo brillante titolo del 1980)… Ma il «chissà cosa penserebbe» è un gioco fin troppo facile (3) che finisce per far dire a chiunque quel che vorresti dire tu non avendone l’autorità. Fatto sta che una formuletta particolarmente felice (6) che, volendo, si potrebbe benissimo applicare all’oggi è «demagogismo onirico»: Arbasino la prese in prestito dal poeta e critico Edoardo Sanguineti, suo compagno di neoavanguardia, per illustrare la condizione adulterata e artificiosa in cui si crogiolava forse ingenuamente la classe media ai beati tempi del boom economico. Ecco, forse quello stesso «demagogismo onirico», un misto di incoscienza e di finzione, l’abbiamo riscontrato le scorse settimane nelle tante promesse irresponsabili fatte dai leader politici agli elettori.
Nel mese di settembre, Gene Gnocchi (5++) ha inaugurato su Facebook una serie di slogan quotidiani fingendosi presunto capo di un presunto partito chiamato Il Nulla e candidato alle politiche. Motto: «Non manterremo le promesse, ma noi ve lo diciamo prima». Ecco qualche voce del programma politico del Nulla, quasi tutte con l’esclamativo finale: «Basta truffe agli anziani: truffe a tutti!», «Aiuteremo gli italiani all’estero facendoli rimanere lì», «Comunque vada sarà un disastro», «Aboliremo le salite: solo strade in discesa!», «Vota il Nulla: inaffidabili dal 1955!», «Con noi il pieno costerà la metà: faremo rimpicciolire il serbatoio», «Un milione di bambole gonfiabili!», «Per risparmiare in bolletta vi spegneremo anche l’entusiasmo», «Un milione di fili interdentali!», «Treni gratis per tutti ma dove vai lo decidiamo noi». Infine: «Vendiamo aria fritta ma senza olio di palma». Demagogismo onirico al suo meglio, ovvero il trionfo del Nulla.