Il lunedì di Pasqua del 1917 un variopinto corteo di esuli russi si avviò con passo pesante verso la stazione centrale di Zurigo; una trentina di persone, uomini, donne e un bimbo di quattro anni. Con sé trascinavano ceste, zaini, valigie di varia dimensione, provviste per un’odissea ferroviaria che si preannunciava lunga e non priva di imprevisti attraverso Germania, Svezia e Finlandia. Tra loro c’era anche Lenin, vero nome Vladimir Il’ič Ul’janov, un avvocato bolscevico che allo scoppio della guerra era di nuovo riparato in Svizzera dalla Galizia. Personaggio irascibile, irruente, nemico di ogni compromesso, Lenin era giunto la prima volta a Ginevra nel 1895. Complessivamente era rimasto nella Confederazione oltre sei anni, prendendo alloggio di volta in volta a Ginevra, Zurigo e Berna. Soggiorni di varia durata, tappe elvetiche di una peregrinazione europea che l’aveva condotto a Parigi, Bruxelles, Berlino, Londra e persino a Capri.
La rivoluzione di febbraio l’aveva colto di sorpresa nelle sue disadorne stanze zurighesi. Da anni Lenin cospirava, fondava giornali, redigeva articoli e opuscoli, teneva conferenze, organizzava congressi per finalmente rovesciare la dinastia dei Romanov, i cui sgherri avevano impiccato il fratello. Ora finalmente era arrivato il momento di far ritorno in patria, in quella Russia zarista che l’aveva visto nascere, e che nei primi mesi del 1917 era precipitata in un vortice di scioperi, manifestazioni quotidiane, rivolte.
Nel corso delle sue intermittenti parentesi elvetiche pochi si erano accorti di lui. La sua presenza, sempre discreta, non aveva mai fornito pretesti alle autorità di polizia per un arresto. La sua occupazione principale consisteva nello scrivere, nello studiare e nell’azzuffarsi incessantemente con i rivali menscevichi. Trascorreva molte ore delle sue giornate nelle biblioteche pubbliche, chino sui testi di Hegel e di Aristotele. Perché Lenin era sì uno stratega e un sobillatore, ma anche un intellettuale di prim’ordine, con alle spalle una solida formazione. In esilio aveva concepito e pubblicato libri come Che fare?, Un passo avanti e due indietro, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, testi che procurarono all’autore una fama imperitura, soprattutto durante il periodo della Terza Internazionale comunista.
Lenin attendeva da anni la scintilla dell’insurrezione generale antizarista. L’aveva teorizzata e propugnata di fronte agli odiati riformisti dell’Internazionale socialista, che nell’agosto del 1914 non avevano saputo impedire la guerra tramite un’azione coordinata. Adesso quel segnale era giunto e bisognava reagire con tempestività. Il treno era pronto al binario per ricondurlo in patria, a Pietrogrado (San Pietroburgo), dove i compagni bolscevichi l’aspettavano con trepidazione.
Ma chi aveva organizzato quel convoglio, e perché?
Quell’iniziativa era stata escogitata dai servizi segreti del Reich tedesco, allo scopo di chiudere al più presto il fronte orientale. La Germania di Guglielmo II, infatti, si era ritrovata a combattere su due fronti, da una parte contro la Francia, dall’altra contro la Russia. Lenin, scatenando il caos rivoluzionario, avrebbe permesso di stipulare una pace separata, cosa che effettivamente avvenne a Brest-Litovsk nel marzo del 1918.
Il Kaiser conosceva i propositi di Lenin; era al corrente del suo progetto di «trasformare la guerra imperialista in guerra civile», come il capo bolscevico aveva ancora ribadito alla vigilia della partenza in una lettera di commiato indirizzata agli operai svizzeri (che peraltro nemmeno sapevano chi fosse).
Il treno lasciò Zurigo il 9 aprile (calendario gregoriano); raggiunse la frontiera con la Germania in poche ore; di qui il gruppo fu fatto proseguire attraverso il territorio tedesco alla volta della Svezia e del Granducato di Finlandia. Tre porte su quattro della carrozza erano sbarrate, di fatto nessun passeggero poteva salire o scendere (da questa condizione di extraterritorialità nacque la leggenda del «vagone piombato»).
Il suo arrivo alla stazione di Pietrogrado fu salutato da una folla eccitata e festante; nel frattempo Lenin aveva steso le «Tesi di aprile» che aprivano la seconda tappa del suo piano rivoluzionario, ovvero l’istituzione della «repubblica dei Soviet dei deputati operai, dei salariati agricoli e dei contadini, in tutto il paese, dal basso in alto». Robert Service, uno dei più noti biografi del leader bolscevico, ha scritto che i «segni della strategia per la rivoluzione d’Ottobre del 1917» erano germogliati in Svizzera ben prima del crollo della monarchia dei Romanov. Il treno rivoluzionario si era messo in moto con puntualità elvetica.