Il torrente del Coniglio che danza

/ 24.02.2020
di Cesare Poppi

Il 24 febbraio 1831 segna una data di non ritorno per quelle che oggi conosciamo come First Nations del continente nordamericano. Entrava infatti in vigore il primo dei trattati con una tribù indiana che le consentiva di mantenere una qualche forma di autonomia governativa ed economica in cambio di un riposizionamento geografico fuori dalle terre native – in altre parole in cambio della riduzione all’interno di una Riserva. L’etnia interessata era quella dei Choctaw che occupava un territorio di 45’000 chilometri quadrati che tagliavano a metà come una larga fascia quello che è oggi lo Stato del Mississippi. Il trattato aveva una storia abbastanza recente. L’Indian Removal Act era stato infatti firmato dal Presidente Andrew Jackson il 24 maggio 1830 e forniva all’amministrazione americana lo strumento per mettere a disposizione di una industria agricola affamata di terre vasti territori fino ad allora occupati dagli indiani. I Choctaw, da parte loro, erano annoverati fra le Cinque Tribù Civilizzate. Si chiamavano così i gruppi di nativi americani che più di altri si erano dimostrati aperti all’assimilazione da parte dei bianchi colonizzatori. Per una di quelle crudeli ironie della storia – paradossi che spesso ne vanificano una lettura in bianco e nero a favore di una lettura semplicemente tragica – vi erano tra i bianchi in buona fede e gli stessi Choctaw – chiamiamoli «nazionalisti» – coloro che pensavano, e forse a ragione, che la perdita delle terre degli antenati e la migrazione verso la Riserva di 61’000 chilometri quadrati di quello che è oggi l’Oklahoma fosse l’unico mezzo per non venire completamente assimilati.

In prima battuta la firma del trattato avrebbe dovuto avvenire alla presenza dello stesso Jackson a Franklin, Tennessee, il 25 agosto 1830. Il meeting fu cancellato all’ultimo momento dai capi Choctaw che continuavano a non essere persuasi della bontà dell’operazione. Le posizioni erano però non del tutto compatte, e Jackson vide nel possibilismo del Capo Greenwood LeFlore una chance di venire a capo della complicata matassa. Alla fine i Choctaw si accontentarono della vittoria nominale di avere il meeting all’interno del loro territorio, lungo il fiume del Coniglio Danzante. L’atmosfera dell’incontro per la firma del trattato il 24 febbraio 1831 fu descritta dai giornalisti presenti come «simile a quella di un Carnevale». Di fronte a 6000 Choctaw, rappresentati dai Capi Musholatubbee, Nittucachee e Greenwood LeFlore, ai sottocapi tribali e ad un’autorevole rappresentanza di sette donne anziane, i Commissari del Presidente spiegarono i termini del Trattato. Fra questi, uno in particolare fungeva da boccone avvelenato, bastone e carota, arma a doppio taglio – e quant’altro. L’Articolo XIV, infatti, stipulava che chiunque volesse poteva optare di restare nelle terre natie a patto di sottomettersi in tutto e per tutto alle leggi americane. A costoro venivano assegnate terre in proprietà perpetua, porzioni aggiuntive qualora avessero figli ed una piccola rendita annuale. Per di più, coloro che così optavano, non avrebbero perso la cittadinanza nella Nazione Choctaw – ma avrebbero perso tutti i vantaggi della cittadinanza americana nonché l’annualità qualora decidessero di andarsene in Riserva. Per un popolo ridotto in miseria i termini erano allettanti, eppure la stragrande maggioranza dei Choctaw – parecchie decine di migliaia – scelsero di intraprendere la marcia di 800 chilometri verso l’Oklahoma che costò la vita ad un numero mai conosciuto di vecchi, donne e bambini.

La storia dei Choctaw è solo la prima di una serie di analoghe rimozioni più o meno forzate, più o meno sanguinose e più o meno conosciute che finirono per coinvolgere i Cherokee, i Cheyenne, i Chikasaw, i Seminole, i Creek… e tanti altri. Il sogno era di far rivivere le antiche tradizioni e gli antichi sistemi di governo nelle nuove terre, ma purtroppo jus solis e jus sanguinis sono – almeno in questo caso – misteriosamente collegati fra loro. Ed il sogno rimase tale. La storia futura sarà, invece ed in gran parte, la storia triste dei conflitti interni alla Nazione fra chi aveva accettato di partire e chi invece aveva deciso di restare. La lotta per il riconoscimento dei diritti individuali garantiti col contagocce dalle legislazioni contemporanee ai discendenti delle First Nations passerà infatti per le dispute legali su chi sia – o meno – un «indiano vero» o uno vendutosi ai Visi Pallidi, su chi abbia diritto a una qualche forma di compensazione e chi invece vi abbia rinunciato ab antiquo, ma tant’è: anche la Storia finisce in tribunale.