Il Ticino non è in vendita

/ 09.05.2022
di Orazio Martinetti

Ecco che la «primavera in fior mena tedeschi». Carducci verseggiava sulla calata del Barbarossa e sulla battaglia di Legnano. Noi, in un contesto locale decisamente meno cruento, salutiamo invece con sentimenti contrastanti l’arrivo delle torme nordiche che ai primi germogli scendono verso la «Süd-schweiz» alla ricerca di luce e tepore. È una tradizione, un pellegrinaggio che rigenera e tonifica l’economia ticinese; una flebo benefica soprattutto per le località lacustri. Tuttavia il turista è stato spesso recepito come una figura doppia, invocata o respinta, attesa o detestata, a seconda delle contingenze storiche e degli umori. Il turista, inteso come forestiero, è infatti «hospes» oppure «hostis», ospite o nemico: le due facce convivono e, come si evince dalla cronaca, non sempre la prima prevale sulla seconda.

Che il Ticino – prima come corridoio del «Grand tour» e poi come meta privilegiata delle classi colte del Nord Europa – fosse predestinato a diventare un piccolo Eden alle porte d’Italia stava scritto nella sua morfologia e nel suo clima. Gli scritti dei primi visitatori traboccano di ammirazione per questa terra di laghi e di morbide colline, benedetta da una vegetazione lussureggiante e da un’atmosfera che anticipava la macchia mediterranea. Erano luoghi che risvegliavano i sensi a contatto stretto con la natura, oasi di quiete e di meditazione (Monte Verità), lontane dalle tragedie che scuotevano il vecchio continente.

La prima fase – quella legata all’arrivo della strada ferrata, la «Gotthard-bahn» – fu all’origine di un incremento senza precedenti di relazioni, di traffici e scambi commerciali con il mondo transalpino. A Locarno e Lugano sorsero grandi alberghi, ristoranti e sale da ballo; gioia di vivere e spensieratezza che la cartellonistica in stile liberty esaltava al massimo grado. La «scoperta» di questo lembo di terra elvetica incuneato in Lombardia e Piemonte fu per gli uni una boccata di ossigeno, dopo tanti secoli di arretratezza e di sudditanza politica, ma per altri un nuovo cruccio, più sottile e più insidioso, perché inquinava le tradizioni, la lingua, gli usi e costumi degli autoctoni. Una colonizzazione surrettizia che trasformava ogni espressione popolare in folklore per la gioia del turista, convinto di scorgere nelle feste dei fiori e nei cortei della vendemmia il «vero Ticino». Si venne così a comporre il quadretto del «popolo allegro», amante del vino e del mandolino, una maschera perfetta per l’apparato pubblicitario. Alcuni intellettuali non gradirono affatto tale «perversione» dell’anima ticinese. Scrittori come Chiesa, Salvioni, Bossi insorsero attraverso articoli e manifesti in difesa della lingua italiana, posposta al tedesco oppure strapazzata senza ritegno.

La seconda grande fase prese avvio con l’apertura della galleria stradale (1980) e il completamento della rete viaria. Le ricadute questa volta non investirono tanto il ramo alberghiero come durante la «Belle époque», quanto il mercato delle residenze secondarie. L’autostrada provvide a risucchiare il cantone nell’area nordalpina, trasformandolo in periferia ristoratrice dell’agglomerato di Zurigo. Dotato di un potere d’acquisto maggiore, il confederato svizzero-tedesco seppe accaparrarsi le parcelle edificabili migliori, soprattutto lungo le rive del Ceresio e del Verbano. Un’occupazione che i comuni non seppero o non poterono contrastare, anche per l’assenza di strumenti giuridici adeguati dopo la bocciatura della Legge urbanistica (1969). Anche in quell’occasione alcuni intellettuali – da Piero Bianconi a Tita Carloni – cercarono di allertare l’autorità politica e l’opinione pubblica sulle conseguenze nefaste della svendita del paese («Ausverkauf») ma con scarsi risultati.

E oggi? Oggi le voci critiche rimangono ai margini, annichilite da una crescita che nessuno intende regolare o in qualche modo incanalare verso una concezione meno utilitaristica e chiassosa del turismo; una concezione fatta di rispetto reciproco, di cultura, di conoscenza dei luoghi, di ospitalità non servile.