Il testamento infinito

/ 21.09.2020
di Bruno Gambarotta

Clemente Pautasso, cittadino integerrimo, torinese almeno da tre generazioni, non vuole morire intestato, in altre parole senza aver fatto testamento; non avendo eredi diretti, non vuole che, quando prenderà posto sul pullman in partenza per l’Ultima Gita, i suoi risparmi vadano a ingrassare sedicenti nipoti mai sentiti nominare. Perciò, seguendo il consiglio di un collega, Clemente Pautasso sceglie la formula del testamento olografo, scritto tutto di suo pugno e lo deposita in busta sigillata presso un notaio. Il dispositivo è lineare e non lascia spazio a qualsivoglia dubbio: «Io sottoscritto Clemente Pautasso, in pieno possesso delle mie facoltà mentali, nomino mio erede universale la città di Torino». Punto.

Ne facciano l’uso che meglio credono, lui non pretende lapidi o l’intestazione di una via. Di ritorno dal notaio si ferma a comprare le sigarette e abbandona per due minuti l’auto parcheggiata in seconda fila, giusto in tempo perché si materializzino un vigile e il suo blocchetto per le multe. Clemente tenta invano di fermarlo: «Guardi che se lei insiste a farmi la multa io ci metto niente a stracciare il mio testamento ancora fresco di inchiostro». «Per me faccia pure», gli risponde il vigile. «Lei non sa cosa fa perdere al suo comune». «No, ma so quello che gli faccio guadagnare facendole la contravvenzione».

Clemente paga e s’incammina per ritornare dal notaio, deciso a diseredare il Comune. Per strada gli viene un dubbio: è giusto che la colpa di un singolo individuo venga fatta scontare a un’intera collettività? Non straccerà più il testamento ma aggiungerà un codicillo: lascio ecc. ecc. a condizione che non venga a beneficiarne il Corpo dei Vigili. Già, ma è giusto che il valoroso Corpo dei Vigili venga penalizzato per colpa di una pecora nera? Mettiamola così: che non ne tragga alcun vantaggio quel vigile che il giorno x all’ora y mi ha multato ingiustamente davanti alla tabaccheria sita in corso Cibrario al civico 2. Giustizia è fatta.

Da quel giorno Clemente decide di muoversi in tram per non trovarsi nella condizione di dover diseredare qualche altro vigile. Sennonché un giorno, dopo aver atteso per mezz’ora il passaggio del 15 di fronte a casa sua, quando finalmente arriva una vettura, l’autista non ti va a saltare la fermata nonostante il gesto imperioso del Nostro? Non importa che dietro arrivino altre tre vetture semivuote, la giustizia faccia il suo corso, si riapra l’olografo: «a condizione che non ne beneficino il vigile che ecc. ecc. e il tranviere che ecc. ecc.».

Meglio, per non correre altri rischi, muoversi a piedi per andare a Palazzo Madama a visitare la mostra del Mantegna. Per arrivare a scoprire, dopo una lunga camminata, che è stato cambiato l’orario di apertura e che qualcuno si è dimenticato di comunicarlo agli organi di informazione. Chi è questo disgraziato da diseredare senza pietà? Come se fosse facile scoprire un colpevole nella pubblica amministrazione! Dibattendosi fra il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà, Pautasso ogni giorno riscrive il suo testamento e lo va a depositare. Nell’ufficio del notaio hanno fatto l’abitudine alle sue visite quotidiane, tanto che, se qualche rara volta non lo vedono arrivare, gli telefonano a casa per informarsi se sta poco bene e ha bisogno di qualcosa visto che vive da solo.

Un giorno volevano fare uno scherzo a una nuova impiegata facendole credere che quel vecchietto era il fattorino dello studio ma non ha funzionato perché, quando lei lo ha mandato a comprare delle marche da bollo, ci è andato senza fare storie. Così, piano piano, fattorino lo è diventato veramente: preciso, fidato, scrupoloso e a costo zero. A stare tutto il giorno in giro per la città a fare commissioni di cose che non vanno se ne vedono, roba che uno deve rubare ore al sonno per riscrivere il suo testamento in modo che l’eredità vada a chi se l’è meritata e non a qualche infingardo mangiapane a tradimento.

Oramai è un malloppo che supera le cinquecento pagine: «nomino ecc. ecc. alla sola condizione che non ne beneficino i seguenti signori: l’addetto alle alberate che, mentre tagliava i rami di un albero ha gridato a me seduto in panchina “Togliti nonno!”; l’operatore ecologico che, avendo io omesso di centrare il bersaglio consistente in cestino di rifiuti con un preciso lancio di bucce di banana, mi apostrofava con l’epiteto di terrone; l’impiegata della biblioteca civica che, avendo io, nella scheda per la richiesta di un romanzo giallo, sbagliato di pochi numeri la sua collocazione, nel consegnarmi l’edizione tedesca della Critica della ragione pura di Kant, parlando con una collega esprimeva qualche dubbio sulla mia capacità di leggere e comprendere la suddetta opera. Richiamando inoltre l’attenzione dell’esecutore testamentario ai casi precedentemente segnalati del vigile, del tranviere, ecc. ecc.»