Il tempo interiore

/ 10.12.2018
di Natascha Fioretti

Cari lettori, complice l’aria prenatalizia, voglio parlarvi di un tema che mi sta a cuore e che in fondo è stato latente in tanti appuntamenti di questa rubrica. Ad esempio ogni volta che vi ho parlato della nostra mobilità, del nostro saper essere presenti e partecipi in tanti luoghi, talvolta nello stesso momento, ma anche costantemente impegnati a più livelli e su più fronti grazie alla facilità con la quale ci connettiamo, ci muoviamo e comunichiamo con il mondo. Tutto questo ha cambiato i nostri tempi di vita. La società nella quale siamo immersi è molto competitiva e, al contempo, molto incerta. Pochi sono i punti saldi rimasti mentre ci viene richiesto di essere sempre più competenti, preparati, flessibili. Reinventarci ogni giorno un po’, una bella sfida non c’è dubbio, ma quanta fatica a volte! E senza la certezza che la condizione attuale possa durare a lungo. Senza che politica e cultura aziendale si muovano alla stessa velocità, basti pensare a che punto siamo con il congedo paternità e con le politiche di conciliabilità. Se vi interessa c’è un bel romanzo, I felici, appena uscito per Keller editore, nel quale la giornalista Kristine Bilkau, classe 1974, ben ritrae la nostra generazione con le sue incertezze e i suoi fallimenti. Che alcune delle dinamiche del nostro tempo siano un bene, o un male, credo stia ad ogni esperienza umana dirlo, ognuna è diversa così come le idee, lo abbiamo visto con il filosofo Richard David Precht e il neuroscienziato americano Steven Pinker.

Sta di fatto che il nostro stile di vita sta cambiando, le regole del vivere sociale, ma soprattutto, e questo è il punto, sta cambiando la percezione del nostro tempo interiore. Talvolta mi sorprendo a pensare con nostalgia ai tempi dell’università. Non avevamo fretta ed eravamo convinti che lo studio e i buoni voti ci avrebbero portati lontano. Non credo sia lo stesso per gli studenti di oggi. Hanno certamente maggiori opportunità, hanno internet, noi andavamo in biblioteca. Ma hanno anche meno certezze per il futuro e sono soggetti a molte più sollecitazioni. Ricordo i bui pomeriggi d’inverno quando al lume di candela e in compagnia di una tazza di cioccolata calda leggevo per delle ore le poesie di Rilke o di Auden. Niente cellulare. A pensarci ora mi sembra fossero tempi infiniti, eternamente dilatati ma anche sfumati con le rivoluzioni tecnologiche e gli anni passati nel frattempo. Penso allora al mitico professore di teatro Sisto Dalla Palma e alle sue lezioni sul tempo perduto e ritrovato di Proust, le sue esplorazioni della dimensione soggettiva ed esistenziale del tempo, quel tempo della coscienza dell’interiorità e della vita vissuta in un flusso continuo di momenti tra loro non distinguibili. Nelle rivoluzioni qualcosa si perde, qualcosa si conquista. Sarebbe un peccato se, sull’onda di un mondo artificiale e intelligente, perdessimo quella dimensione umana che ci contraddistingue e, penso di poter dire, ci rende felici.

È sempre più facile connettersi con il mondo esterno, più arduo entrare in connessione con noi stessi, dare un senso e un tempo al nostro vissuto che non sia scandito soltanto da quello che Bergson chiamava il tempo della scienza, oggettivo e misurabile, fatto di istanti che si susseguono identici l’uno all’altro. Voi lo sentite il vostro tempo interiore? Cercatelo ora che c’è ancora qualche giorno a Natale, l’attesa è sempre la parte più magica e fate una «manutenzione dei sensi» come dice Martino, il bimbo con la sindrome di Asperger, protagonista del romanzo di Franco Faggiani. Regalatevi dei tempi sospesi e degli scambi umani lenti e autentici in un mondo in corsa e, talvolta alla deriva, che tende a miniaturizzare e a semplificare tutto in servizievoli ed efficienti app. Forse non lo sapete ma in media abbiamo 80 app sui nostri smartphone e il mercato è così in crescita che nel 2021 rischia di diventare la terza economia mondiale. Per quanto utili, però, non ci sarà mai un’app per il nostro tempo interiore.