Il tea-room Weber di Arosa

/ 13.03.2023
di Oliver Scharpf

Ancora, continua, finché dura l’inverno, il richiamo dei tea-room. Anche grazie a un libro saltato fuori nelle mie ultime ricerche su questo tema: Die schönsten Tea Rooms der Schweiz (2004). A cura di Fabienne Eggelhöfer, storica dell’arte e capo curatrice del Zentrum Paul Klee di Berna e Monica Lutz, ex libraia ora assistente psicosociale, con le belle foto di Rolf Siegenthaler, mi ha fatto sentire meno solo nei miei studi ossessivi su questi posti atemporali. Consapevoli, le autrici, di «una testardaggine fuori dal mondo nel frequentare questo tipo di locali». Ma il loro è al contempo un appello a dirigere lo sguardo verso «l’estetica dei tea-room», dentro i suoi «meravigliosi interni senza tempo».

Tra i ventisette tea-room repertoriati, otto li ho ritratti nei miei mini reportage, diversi sono estinti, alcuni snaturati, altri invece sono sopravvissuti immacolati come il tea-room Weber (1774 m) di Arosa dove entro ora. Un primo pomeriggio all’inizio di marzo, come quasi una salvezza da Arosa: rinomata località climatica in perfetta posizione walser, vale a dire su in cima in fondo alla valle tra neve e conifere, deturpata diventando stazione sciistica. E così, dopo aver percorso buona parte della Poststrasse – tra tristi sporthotel e pizza-kebab, sapendo che su quella stessa strada sono svaniti due tea-room storici dove in uno (Old India) ci andava Thomas Mann e la moglie e nell’altro (Simmen) Sophia Loren con il marito – sprofondo nella poltrona di stoffa a righe color tortora chiaro, vinaccia, verde tundra. E guardando meglio, a cadenza molto più rara e bordato di azzurrino slavato, anche un verde muschio. Curvata tipo autodromo, come certi angoli da night-club anni Settanta-Ottanta, la poltrona continua per tutta la stanza, unendo sette tavolini. In un’angolo, sulla superficie di legno che struttura lo spazio, ben illuminato dall’abat-jour con base dorata luccicante che potrebbe trovarsi in un soggiorno di due pensionati appassionati di soap-opera, un grosso quarzo rosa. In tinta con il quarzo rosa, motivo per la scelta del tavolino e che incomincia a tranquillizzarmi molto, sono le tovaglie rosa pallido e soprattutto i centrotavola quadrati di stoffa tipica, rosa minerale, posati a rombo.

La moquette verde marcio per terra è il tocco superdemodé, quasi troppo per me. Herbert, il cameriere che sembra uscito da un film di Fassbinder, è in sintonia pure lui con l’atmosfera ultraretrò: porta un tupè, rossiccio, atroce. Di poche parole, non conosce la provenienza dei minerali rosa sparsi qua e là, accanto ai tavolini – uno enorme lo avvisto ora vicino alle vetrine, accanto alle orchidee – in compenso mi porta presto un ottimo espresso doppio e dei deliziosi florentiner. Questi biscotti sottili con fondo di cioccolato, croccante di mandorle, miele, frutti canditi, sono un po’ la specialità del posto, fondato nel 1922 dalla coppia Wilhelm e Genoveva Weber, originari del Baden-Württemberg. Il tea-room, vuoto, dove divoro gli ultimi due (uno con cioccolato al latte e uno fondente) florentiner – che traggono il nome e forma dai fiorini d’oro coniati per la prima volta nel 1252 a Firenze ma nascono nel sud della Germania o in Austria o sull’isola di Grenada – risale al 1942. Era il luogo dove lavorava un orologiaio. Divorare florentiner ad Arosa non può diventare l’unica attività odierna, vado dunque a cercare i quarzi rosa, quattro in tutto, posizionati nei punti focali. «Brasile» mi dice la signora Trudi Weber, moglie cordiale ma non troppo, di Markus Weber – terza generazione – in azione adesso nel piccolo locale confiserie-bäckerei adiacente, a proposito del paese di origine dei quarzi rosa: forse la vera attrazione. Oltre ai semmeli, le michette croccantissime che vanno a ruba. O gli scoiattoli di cioccolato con ripieno di gianduia che non resisto a provare. Rappresentato nella postura per sgranocchiare una nocciolina, lo scoiattolino di cioccolato, proprio come Bambi divenuto sinonimo di capriolo per via di un libro per bambini, qui lo chiamano Hansi.

Herbert porta due torte di carote e una tartelletta al limone al tavolino di uno strano trio con binocoli seri al collo. Mentre i monumentali quarzi rosa brasiliani emanano i benefici della cristalloterapia, stimolando, così sembra, «amore, compassione, gentilezza», trovo la fonte d’ispirazione del parrucchino dell’Herbert: la coda di uno scoiattolo.