Il tea-room Haug a Svitto

/ 27.02.2023
di Oliver Scharpf

Topofobia, da sempre, al solo sentirne il nome. Colpa del collegio di Svitto, spauracchio ipotizzato dai miei per contrastare le mie pigrizie e turbolenze adolescenziali. Perdipiù il suono aspro, secco, quasi come un comando per cani che provoca Schwyz, toponimo originale del capoluogo del cantone omonimo un tempo Paese forestale della Svizzera primitiva, non ha certo aiutato. Per non parlare del patto federale, custodito come una reliquia in un museo costruito apposta per sacralizzarlo oltremisura, a sproposito.

Perciò da Svitto, con estrema cura, mi sono sempre tenuto alla larga. Anche se negli ultimi anni, passandoci via milioni di volte in treno, quei due fiabeschi Mythen svettanti alle sue spalle tra i boschi, ogni volta, mi tentavano di fare, un giorno o l’altro, un giro in città. Alla fine non ci sono mai stato a Svitto dove arrivo ora, in treno, per via di un tea-room. Cammino in mezzo a un mare di nebbia che ha fatto sparire i Mythen, Svitto, e tutto il resto del paesaggio. Dalla piazza centrale con il municipio affrescato di battaglie, riesco però ad agguantare la graziosa scritta gigante in alto, tra due file di finestre con persiane verdi sotto le pieghe barocche del tetto, con la «ti» e la «erre» di Tea Room svolazzanti. Una rarità per posti di solito non sbandierati più di tanto e in via di estinzione, considerati da molti come desueti, ammuffiti, polverosi, deprimenti, con vecchiette dai capelli viola che mangiano vermicelles. L’interno del tea-room Haug (512 m) a Svitto, soprattutto la saletta più piccola in fondo, è invece di riconforto netto con tanto legno di noce e pelle capitonné color marmellata di lamponi. Risalente alla fine degli anni Quaranta, età dell’oro dei tea-room elvetici, questo tea-room svittese dove vago senza aver trovato ancora il punto di osservazione ideale, oltre al riuscito arredo fuori dal tempo, grazie agli stucchi dei soffitti, lampadari a corona con pendenti tipo cristallo, emana un’aria più antica.

La percezione di un’altra epoca è dovuta poi anche a questa settecentesca ex casa parrocchiale. Alle nove e diciassette di un mattino verso la fine di febbraio, inizio ad acclimatarmi seduto sulla pelle capitonné color marmellata di lamponi di una sedia in legno sorprendentemente comoda della saletta più intima alla quale si può accedere anche dalla strada, diretti, senza passare dalla confiserie fondata nel 1889 da Gustav Haug (1853-1909). Pasticcere partito con sua moglie Eugènie (1857-1933) da Stoccarda. Attraverso la sala grande, più luminosa ma un po’ meno magica, e scendo nella confiserie per un croissant al cioccolato. Stamattina, per colazione, non mi aspettavo niente di speciale oltre all’arredo di un certo gusto che qui nella saletta in fondo, più riflessiva, conta nove tavolini in noce, eppure il croissant al cioccolato, va detto, è una cannonata. L’idea del tea-room è stata del figlio e della figlia del pasticcere svevo: Josef Haug (1885-1948) e Jeannette Haug (1891-1967), i cui tre nipoti, René, Gustav, e Jörg, passati anche loro a miglior vita, hanno portato avanti la pasticceria-tearoom fino alla generazione attuale di Haug. Senza illustrare nel dettaglio il panorama odierno di torte a fette e pasticcini, non è neanche l’ora del resto, spiccano però due torte intere alla mocca ricoperte di scaglie di mandorle e anche le Linzertorte, in vetrina, guardano fuori bene. Nel repertorio non potevano mancare i Mythen di cioccolato, quasi più souvenir che specialità. Quattro posti sono magari meno strategici per lo studio del luogo ma più distensivi per via delle panche-divanetti in pelle che di solito preferisco d’istinto; bisogna però saper cambiare, ogni tanto. Un tocco fuori dal mondo, in diversi punti, contro le pareti, sono le lampade similcandele sgocciolanti di cera. Un motivo ricorrente nella boiserie, come lì, nel separé-onda proprio sopra la panca-divanetto, è l’intreccio che richiama all’istante la Linzertorte. Linzertorte e caffè era il solito per Meinrad Inglin (1893-1971), autore, tra l’altro, di Die graue March (1935), libro immerso nella natura e in un mare di nebbia il cui confine grigio è contenuto nel titolo. In realtà, a poco a poco, un po’ per via dell’effetto boiserie a intreccio combinato al colore dell’imbottitura in pelle, le luci candela, la nebbia, chissà, incomincio a sentirmi come dentro a una Linzertorte.