Quando cadono le foglie, tranne quelle testarde delle querce pubescenti che pennellano ancora i boschi mezzi spogli con fiammate di fauvismo tenue, è il momento di rintanarsi in tea-room d’altri tempi. Sotto le arcate in arenaria olivastra, a un centinaio di passi dalla stazione, se attraversate il negozio-confiserie, vi ritroverete come per magia in un favoloso tea-room letargico anni cinquanta. Colpisce subito la boiserie in mezzo che tagliando in due lo spazio, impone garbata una simmetria assoluta all’unica stanza del tè dove venti tavolini di legno risalenti all’arredamento originale del 1954, vivono la loro vita. Attratto da un quadro espressionista niente male con soggetto uno strambo vaso di fiori ascetico e nervoso, mi dirigo verso quelle spighe e capsule di papaveri dentro un vaso di porcellana rusticale grigio con decorazione blu. Steli bianco meringa che spiccano sullo sfondo di una tenda rosso rosa canina galleggiante su una superficie spennellata di rosa panna, mentre il tavolino sfuocato riprende nove enigmatici trattini blu come il motivo del vaso dove lì accanto, non lontana, in basso a destra, leggo la firma del pittore. E mi siedo così, su una panca imbottita color prugna più o meno, a fianco di Mohn und Aehren (1949), olio su tela (130 x 97 cm), di Max Gubler (1898-1973). Il tavolino di legno chiaro con riquadro in formica verde scuro venato, ha un insolito ripiano svuotatasche sotto e massicce gambe claviformi.
Al tea-room Eichenberger (543 m) di Berna – ex confiserie Wenger dal 1906 al 1959 ed ex confiserie Durheim a partire dal 1860 – sembra andare per la maggiore un pasticcino mignon chiamato Mocca-würfel. Cubo glassato color mocca lucido, decorato con rapido ghiribizzo a griglia e un chicco di caffè di cioccolato fondente nell’angolino. Al cinque della Bahnhofplatz noto anche una certa predilezione per i vermicelles. Tra gli avventori la fanno da padrone le vecchiette, chiacchierando assieme a qualche amica o da sole, leggendo il giornale. Alcune vengono tutti i giorni, alla stessa ora, ordinando sempre la stessa cosa. Si sviluppa così, in questo delicato viavai di vecchiette, una certa familiarità con Enissa, storica cameriera bosniaca il cui sorriso indomito anima questa stanza segreta. La segretezza della sala da tè, invisibile a chi non cammina fino in fondo con conoscenza, è uno dei pregi di questo posto-tuffo nel tempo.
«Espresso und carac» dico a Enissa. Un’ulteriore segretezza è data dalla magnifica credenza-passavivande un po’ streamline, sempre in legno chiaro, che nasconde la cucina dove si accede da una porta mimetizzata nel mobilio. Il tea-room rimane perciò in purezza, separato dalla macchina del caffè eccetera. Un separé-porta-giornali ligneo, con motivo decorativo a treccia, davanti alla credenza-portavivande, ripara ancora di più questo microcosmo. La treccia decorativa è ripresa nel separé della boiserie che simmetrizza longitudinalmente tutta la stanza dai soffitti alti, illuminati bene. Nessuna finestra, uno specchio, quattro quadri degni di nota. Ottima la carac il cui verde acido della superficie risalta sul tavolino e s’intona, a tratti, con alcuni verdi della foresta africana raffigurata sull’unico quadro che non sono riuscito a identificare per via di una firma illeggibile. Di fronte, anche senza firma, riconosco, nella natura morta con conchiglia, statuetta di gesso e peperoni, la mano di Max Gubler. Pittore zurighese che ha vissuto con la sua amata Maria diversi anni sull’isola di Lipari, poi a Parigi, Unterengstringen, e gli ultimi anni, per sua scelta, si rifugia nella famosa clinica psichiatrica Burghölzli.
Il quarto quadro sono due bambini nell’erba firmati dal pittore e scultore bernese Karl Schenk (1905-1973). Qui accanto, sotto i tetri deiscenti dei papaveri di Gubler, uno con rivella blu, fetta di pâté maison e «Der Bund», non scherza mica. Tra le specialità fuori moda per altri avventori seri, sulla carta di quest’oasi formato mignon, ci sono il vol-au-vent e il toast hawaii. Un altro avventore solitario affronta due Crèmeschnitte. Due signore, intanto, si godono soffici panini al prosciutto e un goccio di yvorne. Mentre ancora vermicelles, Mocca-würfel e tazzoni di caffè crema, portati come d’incanto da Enissa – cameriera totale, volante, discreta e partecipe – allietano un pomeriggio ai primi di dicembre.