In Giappone, fra le ventotto regole da applicare per sconfiggere il coronavirus, ce n’è una che riguarda il silenzio, specie sui mezzi pubblici. Questa buona abitudine avrebbe contribuito a tenere basso il numero di contagi nel paese.
Quando assistiamo a certi talk show ci viene da invocare il ripristino dei «silentiares». Nelle corti imperiali bizantine del IV sec. erano guardie che tutelavano il silenzio nella sala colloqui: la parola era sottoposta a rigido controllo, guai a sgarrare! Già, il silenzio riusciamo a definirlo solo attraverso il suo opposto.
Ne Il silenzio del corpo, Guido Ceronetti scrive che «chi tollera i rumori è già un cadavere». Tempo fa, nel Sussex un parroco ha registrato il silenzio della chiesa e ne ha prodotto «la sua pace» su cd. Trenta minuti di silenzio, registrato all’interno di una chiesa anglicana della campagna inglese, da riascoltare a casa per rivivere l’atmosfera sacra e accogliente di un edificio di 900 anni fa. Il cd si intitola The sound of silence come la vecchia canzone di Simon & Garfunkel (prima ci si doveva accontentare de La voce del silenzio di Mina: «Ci sono cose in un silenzio che non m’aspettavo mai, vorrei una voce ed improvvisamente ti accorgi che il silenzio ha il volto delle cose che hai perduto…»).
Nel libro Per una storia del silenzio (edito da Mursia) Sergio Cingolani avverte che «più della metà della popolazione mondiale vive in ambienti con un livello medio di rumorosità superiore a 60 decibel, quindi assai lontana dalla possibilità di poter godere degli effetti del silenzio». Non conosciamo più cosa sia il silenzio, nemmeno nella quiete della campagna o della montagna.
Il capitolo più interessante del libro mi è parso quello dedicato al silenzio nelle regole monastiche. In quelle di Benedetto (480-547) sta scritto: «Facciamo quello che dice il Profeta: Ho detto: custodirò le mie vie per non peccare con la mia lingua; ho posto una custodia alla mia bocca, ho tenuto il silenzio, mi sono umiliato e ho taciuto…». Dalla sua cella il monaco non può né vedere né sentire il suo vicino, l’architettura monastica è fatta per proteggere il silenzio, la meditazione, la taciturnitas. Il silenzio è una grande cerimonia, una liturgia. Dio giunge nell’anima che fa regnare il silenzio dentro di sé, ma rende muto chi si perde in chiacchiere.
La cultura laica pare poco interessata al silenzio. Per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (maggio 2012) il pontefice Benedetto XVI aveva invece inviato un messaggio dedicato proprio al silenzio: «Il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto. Nel silenzio ascoltiamo e conosciamo meglio noi stessi, nasce e si approfondisce il pensiero».
Il Papa non ha proposto il silenzio come alternativa all’impegno nella comunicazione, non ha chiesto di spegnere la «musica passiva» (che ci assilla ovunque), non ha improvvisato una di quelle lezioni per dummies o per manager in cui ci viene spiegato, da una pubblicistica improvvisata, che «in una società in cui tutti parlano, tutti tentano di esprimersi sovrapponendo la propria voce a quella degli altri e in cui gli stimoli dei soggetti emittenti si moltiplicano spesso senza raggiungere i destinatari del messaggio il rischio dell’incomunicabilità cresce a dismisura». No, ha voluto ricordare che il silenzio parla, anche nelle moderne forme di comunicazione. Il silenzio è una scelta e a volte può essere l’espressione più eloquente della nostra attenzione verso un’altra persona.
Per i filosofi, il silenzio è lo strumento fondamentale dell’uomo per contrastare la banalità della chiacchiera e dell’esistenza inautentica: è un dispositivo che permette di cogliere la vera essenza dell’Essere. Heidegger ha sottolineato come il tacere non sia esclusivamente un’assenza di parole, ma quasi un obbligo per garantire un’adeguata comprensione tra gli esseri umani. Egli ha attribuito al non-detto un valore più alto rispetto ai «fiumi di parole» della nostra epoca: «Un fiume di parole su un argomento non fa che oscurare l’oggetto da comprendere, dando ad esso la chiarezza apparente dell’artificiosità e della banalizzazione» (Essere e tempo, 1927).
Il silenzio, dunque, è la possibilità di avere qualcosa da esprimere, ma scegliere di non farlo, per attribuire un giusto ed autentico valore alle parole a volte logore e superficiali, inflazionate da un loro utilizzo inautentico. Anche il silenzio ha una sua biografia, quella scritta da Pablo d’Ors per avventurarsi negli spazi della quiete silenziosa: Biografia del silenzio (ed. Vita e Pensiero).
Il silenzio è una rinuncia che si trasforma in conquista e che permette, tra l’altro, di disfarsi di molti ingombranti luoghi comuni. Non solo d’Ors invita a diffidare della retorica dei sogni, ma è anche molto critico verso l’ideologia dell’altruismo a oltranza. Solo attraverso l’attenzione raccomandata già da Simone Weil, infatti, e cioè solo attraverso la pura percezione del reale, è davvero possibile ascoltare gli altri.
Il silenzio d'oro
/ 30.11.2020
di Aldo Grasso
di Aldo Grasso