Il rischio: questione di scelta o di caso?

/ 07.05.2018
di Luciana Caglio

Quel «sono andati a cercarsela» è risuonato, inevitabilmente, anche alla notizia della tragica traversata Chamonix-Zermatt, di fine aprile: sette morti, vittime di intemperie imprevedibili, ma non soltanto. Infatti, la battuta, se esprime una reazione primaria, dettata dal cosiddetto buonsenso comune, sottintende anche un atto d’accusa, e colpevolizza. Vale a dire, chi affronta una situazione, che esula dalla normalità quotidiana, si mette automaticamente in pericolo. E, quindi, ne deve portare le conseguenze. Provoca interventi, a loro volta, pericolosi per i soccorritori, e, non da ultimo, costi pagati dall’intera collettività, tutti noi insomma. Il ragionamento, a prima vista non fa una grinza e conferma convinzioni radicate nella mentalità dei cittadini, e sono la maggioranza, che rispettando le norme, appunto del buonsenso, pensano di garantirsi la sicurezza. Obiettivo irraggiungibile in forma assoluta, persino in Svizzera, il paese più assicurato del mondo. Dove, però, si registra anche la più alta percentuale di viaggiatori, diretti anche verso mete lontane e dove aumenta il numero delle persone che praticano attività sportive, comprese quelle impegnative, per non dire estreme.

«Parlare, oggi, di una scarsa consapevolezza del fattore rischio è fuori luogo», osserva Giovanni Galli, presidente della Sezione Ticino del Club Alpino Svizzero. «Si deve, piuttosto, relativizzare il concetto di rischio, alla luce della crescente popolarità dell’alpinismo su sci. Diventa difficile, per la guida professionale, verificare le effettive capacità e motivazioni del gruppo. Magari, qualche partecipante ha sopravvalutato le proprie forze. Ma, nell’incidente del Pigne d’Arolla, si è registrata una fatale coincidenza di elementi negativi: una violenta ondata di freddo, l’impossibilità di comunicare in una zona dove i telefonini non funzionano». Allora, nessun colpevole? «Bisogna rendersi conto che, se si vuol evadere dagli schemi abituali, può esserci anche un prezzo da pagare: che si chiama rischio».

Sta di fatto che quando la passione della montagna diventa un’inseparabile compagna di vita, il rischio rappresenta semplicemente un aspetto della normalità. Ne è convinto Vinicio Bosshard, operatore sociale, padre di due ragazzi ai quali ha trasmesso la passione per le vette: «Ma anche la prudenza. La consapevolezza del pericolo comporta la capacità di controllarlo. Ma con il rischio si deve convivere, persino nella situazione più banale: in casa dove, secondo le statistiche avviene il maggior numero di infortuni. In quanto, poi, ai rischi, cui vanno incontro i soccorritori, si tratta di alpinisti, allenati a questo scopo. Insomma, compiono il loro lavoro. Non si tratta, con ciò, di banalizzare un’attività sportiva che esige preparazione, anzi dedizione». Sacrifici, per i non addetti ai lavori. Soddisfazioni, impareggiabili per Vinicio: «In un anno, ho compiuto una quarantina di gite con pelli di foca totalizzando 40’000 metri di dislivello».

Momenti di paura? «Sì. Quando ho sentito il “bum”, che annunciava una valanga».

Per Werner Kropik, che ha alle spalle una lunga esperienza di viaggiatore, indipendente e intraprendente, alla caccia di incontri, voci, immagini che diventano il materiale di documentari ben noti al nostro pubblico, il rischio è sempre accanto a noi: visibile e invisibile. «Non lo vado a cercare, non è una scelta, ma so che capita». E, quindi, Werner ha sviluppato le sue armi di difesa. «Occorre partire con informazioni di prima mano, sapersi adeguare ai comportamenti locali e non illudersi che il passaporto svizzero sia un salvacondotto». Questa filosofia e questi comportamenti l’hanno aiutato a trarsi d’impiccio, lungo itinerari insoliti: già una ventina d’anni fa, quando, in bicicletta, attraversò la regione fra Afghanistan e Pakistan. Ma Kropik, sia chiaro, non insegue l’avventura fine a se stessa, bensì la convinzione che il mondo, in apparenza tutto noto e livellato, riserva sempre sorprese. A costo di sfidare il rischio, che è anche una percezione individuale. «Partirò, prossimamente, per la Mongolia, con la fotografa Alessandra Meniconzi che, laggiù, diffida della linea aerea locale. E preferisce spostarsi su autobus, lungo strade, secondo me, ben più pericolose».