Il rapporto sbilanciato tra Usa ed Europa

/ 05.07.2021
di Aldo Cazzullo

In un’Europa ancora scioccata dalla Covid e distratta dall’Europeo di calcio non si è parlato molto della prima missione di Joe Biden, significativamente incentrata su Ginevra, quindi sulle Nazioni unite e sul multilateralismo. Il che rappresenta un’inversione di rotta rispetto all’epoca di Donald Trump, che puntava tutto sui rapporti bilaterali, da Stato a Stato o meglio, da leader a leader. Però il rapporto di forza tra l’America e l’Europa è ancora troppo sbilanciato. Lo era con Trump, primo presidente dichiaratamente anti-europeo, che tifò Brexit e mise i dazi, e lo è con Joe Biden, che intende avvalersi dell’appoggio europeo per contenere la Russia e affrontare la Cina (dopo avere separato Mosca, potenza innanzitutto militare, da Pechino, potenza globale).

Per fornire un ulteriore dato, al momento i cittadini americani sono benvenuti in Europa, dove gli operatori del turismo sperano di ripartire grazie ai loro dollari, mentre i cittadini europei non possono entrare negli Stati uniti. Una situazione abbastanza umiliante. Purtroppo il rapporto dell’establishment e dell’opinione pubblica europea con l’America non è ancora maturo. Non soltanto ogni Paese cerca di giocarsi in proprio le relazioni con Washington; all’interno della classe politica europea – e in particolare italiana – c’è una corsa a posizionarsi, se non direttamente con la Casa bianca, almeno con l’ambasciata Usa, la Nato, i centri di potere, l’intelligence, per presentarsi come interlocutori affidabili, quando non servizievoli, nella speranza che questo possa giovare alla carriera. Accadeva in passato, quando alcuni leader democristiani pagarono a caro prezzo le loro perplessità sull’egemonia americana (ogni riferimento ad Aldo Moro e pure a Bettino Craxi è voluto). Accade a maggior ragione adesso che i partiti non esistono quasi più. E non si vede come gli americani possano trattarli da pari a pari, quando vedono come s’offrono, a vari livelli, i politici europei.

Biden non ha particolare simpatia per Vladimir Putin. Ma è evidente che non lo considera il principale nemico. Sa che la Russia ha un forte esercito, e soprattutto – a differenza dei Paesi dell’Unione europea – non esita a impiegarlo sul terreno: in Cecenia, in Georgia, in Crimea, nel Donbass (la regione filorussa dell’Ucraina), in Siria, in Libia. Ma Biden sa che il vero confronto dei prossimi decenni si giocherà con la Cina. Pechino è stata molto abile a non rompere con i Governi europei, a cominciare da quelli più importanti (Parigi e Berlino), e nello stesso tempo a coltivare i rapporti con i movimenti sovranisti e populisti che sono cresciuti in questi anni. Sul blog di Beppe Grillo, ad esempio, è comparso un articolo inquietante, in cui si sminuiva la persecuzione che subiscono gli uiguri, la minoranza turcofona che è però storicamente maggioritaria nello Xinjiang, la regione dell’Asia centrale che per l’impero cinese è stata storicamente terra di conquista, proprio come il Tibet. Gli uiguri però sono musulmani e quindi non godono di buona stampa. E questo è solo uno dei molti esempi che si potrebbero fare.

La politica americana non si è trasformata di molto con il cambio alla Casa bianca. Già Trump aveva messo la Cina nel mirino. Biden fa lo stesso, ma cercando l’appoggio dell’Europa, Russia compresa. Trump segnava un cambiamento anche antropologico nella politica. Il suo modello non è mai stato Bush o Reagan o Nixon o Eisenhower. Il suo modello è Hulk Hogan, il re del wrestling, la lotta in cui nessuno si fa davvero male. I suoi non sono comizi, sono show, e uno show è stato il suo comizio di rientro, nello Iowa. Trump ha passato quattro anni a dire in sostanza due cose: l’America non è mai stata tanto forte, ricca, potente nella storia; eppure l’America è in pericolo e deve essere protetta. Tutta la sua politica va letta come un’alternanza tra orgoglio e paura, tra senso di superiorità e allarme per l’impoverimento della classe media e la perdita di sovranità a favore del mondo globale. Sentimenti estranei all’élite che studia, viaggia, compete con l’estero, ma molto vivi nelle classi popolari, in particolare i bianchi poveri.

Biden ha cercato di rassicurare una parte dei ceti che avevano sostenuto Trump, senza perdere il contatto con i valori dei democratici delle ultime generazioni, a cominciare dall’apertura al mondo. Non a caso sia Wall Street sia la Silicon Valley hanno votato per lui. La sua partenza è stata brillante, ma il difficile viene adesso. La speranza degli italiani e anche di qualche europeista di altri Paesi è che, vista l’uscita di scena della Merkel e le difficoltà di Macron, l’interlocutore degli americani diventi Mario Draghi.