Quando nel febbraio del 2013 Papa Ratzinger annunciò la decisione di rassegnare le dimissioni dal papato furono in molti ad agitare lo spettro di un dualismo di poteri che avrebbe minato l’autorevolezza dell’unica mono-archia elettiva del pianeta. Chi dei due «Uomini Bianchi» sarebbe stato «il vero Papa»? A quale pastore sarebbe andata la fedeltà e l’ubbidienza del gregge? Chi avrebbe avuto l’autorità di esprimersi a nome di chi? Che piaccia o meno, i pronunciamientos della Santa Sede Vaticana hanno rilevanza globale non foss’altro per la loro influenza sull’opinione pubblica, dunque… Eppure la storia dei cosiddetti «antipapi» è lunga, e dura praticamente da sempre: quelli «storici» – ci fermiamo al XVI secolo – sono addirittura quarantuno, tutti chiaramente depennati dalla lista dei papi «legittimi» e riconosciuti – tutti, ovvero, eccetto in qualche modo il primo della lista.
Sant’Ippolito di Roma (per non confonderlo con gli omonimi di Porto e di Antiochia) nacque probabilmente a Roma nel 170 d.C. Pare sia stato discepolo del grande Ireneo di Smirne, allievo a sua volta di Policarpo che era stato fra i discepoli più influenti di San Giovanni Evangelista. Forte di questo pedigree, e degno pupillo dell’autore del trattato Contra Hereses (Contro gli Eretici) che valse ad Ireneo il titolo di Padre della Chiesa, Ippolito entrò senza esitare nell’arena, ai tempi già affollatissima, nella quale si misuravano a suon di trattati teologici e scomuniche reciproche – ma spesso e volentieri anche a calci e pugni – i sostenitori di questa o quella dottrina.
Erano i tempi nei quali un cristianesimo allo stato nascente cercava di configurare una linea dottrinale ortodossa quanto più cattolica – ovvero universale – in grado di accomodare le diverse anime etniche, culturali, religiose e quant’altro ribolliva nella melting pot che era la Roma di età imperiale. Presto assurto al rango di leader per le sue opere teologiche, si trovò in contrasto coi pontefici «ufficiali» per le sue posizioni intransigenti. In qualità di Presbitero della Chiesa di Roma rimproverava a Papa Zefirino (199-217 d.C.) le posizioni dette «modaliste» in quanto a suo avviso eretiche: per il Pontefice, forse non ben versato in filosofia, il «Padre» e «Figlio» del Credo allora vigente, altro non erano che termini per indicare lo stesso Soggetto Divino. In linea con la filosofia greca, Ippolito era invece per la dottrina, intellettualmente molto (troppo?) sofisticata del Logos. Il Padre sarebbe da tenersi distinto dal Logos, il principio di manifestazione del Figlio e fondamento della fede.
Questioni di lana caprina, diranno i lettori dell’Altropologo. Nient’affatto: erano, come si è detto, i tempi nei quali i cristiani – setta religiosa ancora largamente minoritaria nel mare magnum di culti di tutti i colori e fedi in aperta competizione nell’Urbe – si distinguevano per la determinazione, presto percepita dalle autorità come pervicacia e testardaggine – nel perseguire (e perseguitare) chi, al loro interno, avesse torto o avesse ragione. Lana caprina o lana fina in gioco c’era la salvezza eterna dell’anima: secoli più tardi il grande Flavio Cassiodoro (485-580), ambasciatore di Teodorico scriveva a casa di come al mercato centrale di Costantinopoli ci si riempiva di legnate per imporre questa o quella versione del Credo. Ma andiamo con ordine: l’intransigenza di Ippolito si scontrò prima con Papa Callisto I, accusato di essere moralmente molliccio in quanto aveva accordato la possibilità di perdono ai cristiani colpevoli di peccati gravi, primo fra tutti l’adulterio.
Lo zelo rigorista di Ippolito trovò modo di esprimersi nei pontificati successivi di Papa Urbano I (220-230 d.C.) e di Papa Ponziano (230-235 d.C.). Questi ultimi si erano distinti per aver allargato ulteriormente le maglie della rete con la quale si aspirava a divenire cristiani: le condizioni alle quali i «pagani» potevano essere ammessi alla nuova fede venivano progressivamente allentate. Fu così che Ippolito venne eletto Vescovo di Roma dai cristiani greci ivi residenti, di fatto facendo di lui un Antipapa, il primo titolo del Sommo Pontefice essendo quello di Vescovo di Roma. Di fatto Ippolito si trovò nell’arena, in ultima ratio, contro Ponziano, legittimo (pur se non degno?) successore di Pietro dopo uno scisma durato 18 anni.
Con l’avvento dell’Imperatore Massimino il Trace (in carica 235-238), primo Imperatore barbaro, mai stato cittadino romano né tantomeno senatore, eletto dalle Legioni per la sua forza fisica (era alto 2,40 metri e si dice bevesse «un’anfora capitolina di vino al giorno e mangiasse fino a quaranta libbre di carne») la tolleranza verso i cristiani prese una piega per il peggio. Poco avverso – capirete – a dirimere questioni di lana caprina – il trace decise di dare un taglio alle querelle fra fazioni che cominciava a dare problemi di ordine pubblico. Confermato Imperatore fece arrestare tanto Papa Ponziano quanto l’Antipapa Ippolito. Entrambi vennero condannati ai lavori forzati nelle miniere della Sardegna: una sentenza di morte. E veniamo a noi: il 28 settembre 235 – 1782 anni fa meno tre giorni – Papa Ponziano dette le dimissioni da Vescovo di Roma al fine di spiazzare Ippolito e garantire una successione «legittima» alla Cattedra di Pietro. La cronaca dice che i due, visto il destino comune che li attendeva, finirono per riconciliarsi. Entrambi sono venerati come Santi nel libro dei Martiri della Chiesa di Roma.