Il filosofo Empedocle, nel V secolo a.C., descrive Amore come un principio cosmico di armonia e di unificazione di tutti gli elementi naturali. Amore è una forza di pace e di coesione che alimenta il perenne divenire dell’universo. È un principio vitale che si contrappone all’odio, alla forza distruttiva del conflitto e della disgregazione ed è quindi sempre esposto alla minaccia di un caos primordiale. Amore esprime il senso di tutto ciò che esiste in una prospettiva cosmica. Custodisce e nutre il valore della vita. Di una vita che desidera sempre riaffermare sé stessa, contro ogni minaccia di distruzione. È un valore che deve dire in continuazione di sì a sé stesso perché la vita del cosmo, e dell’umanità che lo abita, è sempre vulnerabile nelle sue fragilità.
Questa vulnerabilità, nel racconto platonico della nascita di Eros, diventa umana mancanza, privazione che si trasforma nel costante desiderio di superarla. Eros, val la pena ricordarlo brevemente, concepito tra libagioni ed ebrezze durante una festa in onore della dea della bellezza Afrodite, è figlio di Povertà e di Espediente. Eros è brutto ma ama la bellezza, quella bellezza morale che coincide con ciò che è buono e vero.
La visione cosmica di Amore, proposta da Empedocle, si trasforma così in archetipo e metafora delle inquietudini che appartengono al destino umano e diventa simbolo forte di un luminoso progetto di umanità. In queste rappresentazioni inaugurali, l’amore si presenta a noi in tutta la sua potenza. È la prima forma di potere: il potere dell’amore, appunto.
Non si tratta solo dell’amore che ciascuno di noi può sentire e coltivare nel proprio intimo giardino mentre cerca di fare, della propria vita, una vita buona. Qui si tratta di quel valore universale, tanto cosmico quanto esistenziale, raffigurato fin dai racconti del mito e coltivato dal pensiero come principio generativo che dà forma a tutto ciò che esiste e che lega gli uomini in un destino di comune appartenenza. Un principio che ha ricevuto nel tempo tanti nomi: benevolenza, carità, accoglienza, compassione, attenzione, cura, fratellanza.
Sia chiaro, questo principio di Amore universale probabilmente non è mai stato visto all’opera nel nostro mondo reale. Dentro al dipanarsi della storia ha però sempre mantenuto un posto importante come progetto, come idea limite, come approdo ideale. Un invito e insieme una promessa, un dover essere morale a cui si pensava sarebbe stato possibile, un giorno, dare voce e cittadinanza.
Ho voluto richiamare questi simboli perché spesso tornano a trovarci nel desiderio di bellezza e di armonia. Un desiderio che tuttavia, nel nostro abitare il mondo, si fa spesso nostalgia per una meta percepita come inarrivabile e forse, proprio per questo, un desiderio che a volte arriva a perdersi nel disincanto. Io stessa mi guardo attorno e mi domando: che fine ha fatto il potere di Amore? Guardo questa nostra umanità trafitta, ferita, divenuta incapace perfino di pensarsi come umanità: una parola che sopravvive solo per raccontare tragedie. Tragedie umanitarie, appunto.
Per chi queste tragedie le lascia sullo sfondo del proprio sguardo, per chi non le vede, o non vuole vederle, umanità è solo un nome, senza un gran significato. Anche la parola amore sembra abbia avuto, in un certo senso, lo stesso destino. Come ben sappiamo, ben presto Amore è stato identificato con l’amore per la conoscenza. Bellissima cosa, fonte di progresso per l’umanità. Peccato però che in questo progresso dell’umanità, compiuto attraverso la conoscenza, non abbia trovato un posto anche la conoscenza di Amore. La conoscenza di tutto quello che questa parola evoca e custodisce e che sentiamo, certo, ma che non siamo mai riusciti ad accogliere nella nostra casa comune e nei suoi racconti. Così, anche questa parola sarebbe potuta diventare un nome senza un gran significato, e invece no, non è stata buttata via. Ce lo ricorda ogni giorno l’amore per il potere. Questo tradimento del potere di amore, consegnato all’amore per il potere, è solo una possibile interpretazione delle derive della nostra civiltà. Un’interpretazione che consente però di immaginare un ulteriore movimento, una possibilità di andare oltre. Lo sappiamo bene per esperienza diretta: coltivare l’amore nel nostro mondo interiore aiuta a cogliere il senso della vita e la sua verità, la verità degli altri e la nostra intima verità.
È possibile, mi chiedo, ripartire da qui? È possibile immaginare nuovi approdi proprio a partire dal nostro personale sentimento di amore, dal dialogo con l’altro, dal desiderio di pace e armonia e bellezza che nasce dalle nostre solitudini?
Ovvio che non ho risposte, ma credo che questa sia la questione etica più urgente.