Il polemista di estrema destra che sogna l’Eliseo

/ 12.07.2021
di Paola Peduzzi

Per Eric Zemmour «Marine Le Pen è sempre stata di sinistra» e questo basta per capire perché il più noto polemista di Francia, un milione di telespettatori ogni giorno sulla tv sovranista CNews, alimenta da settimane le voci su una sua candidatura alle presidenziali del prossimo anno. Secondo lui c’è spazio politico per giocarsela. Vista da fuori, la destra francese sembra affollatissima: ci sono i gollisti con i loro tanti aspiranti candidati (faranno le primarie o si metteranno d’accordo su un nome?), Marine Le Pen e il suo Rassemblement national, la nipotina Marion Maréchal-Le Pen, attivissima con convegni, scuole, think tank. Eppure per Zemmour no, c’è spazio, per sé stesso, per una campagna elettorale anti sistema, con l’aiuto della «Generazione Z», i suoi sostenitori più giovani che già sono un gruppo e riempiono i muri di cartelloni in cui fanno sembrare che la candidatura del loro idolo sia una cosa vera.

Sessantatré anni a fine agosto, Zemmour si definisce gollista e bonapartista ma si posiziona nell’estrema destra, con una linea più radicale di quella della Le Pen. Parla spesso della teoria della «grande sostituzione» etnica dello scrittore Renaud Camus (la popolazione europea sarà sostituita dai migranti), ha partecipato nel 2019 alla conferenza delle destre organizzata da Marion Maréchal ed è stato condannato più volte: nel 2011 per istigazione alla discriminazione razziale, nel 2018 e nel 2020 per istigazione all’odio contro i musulmani. Ad aprile, il sito d’inchiesta Mediapart ha raccolto le testimonianze di alcune donne che accusano Zemmour di molestie. L’articolo con il resoconto delle accuse si apriva con la citazione di un passaggio del pamphlet di Zemmour Le premier sexe pubblicato nel 2006, un lamento per la scomparsa del maschio: «I peli sono un’impronta, un segnale, un simbolo. Del nostro passato di uomini delle caverne, della nostra bestialità, della nostra virilità. Della differenza tra i sessi. Ci ricorda che la virilità va di pari passo con la violenza, che l’uomo è un predatore sessuale, un conquistatore». Di recente Zemmour ha paragonato i trattamenti ormonali per il cambiamento di sesso alle pratiche naziste.

Come è facile intuire, la presenza di un tipo come Zemmour nella campagna elettorale (lunga, si vota ad aprile 2022) impensierisce un po’ tutti, perché fa saltare il dualismo che tutti prevedono, quello tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen, come nel 2017; perché frammenta il voto di destra; perché costringe il presidente Macron a guardare a sinistra, che come è noto non è un orizzonte per lui sereno. Come tutti gli outsider poi Zemmour fa emergere molti elementi del dibattito che altrimenti resterebbero più circoscritti, ancor più se si pensa che ha una visibilità enorme, garantita dalla televisione e dalla presenza costante sul quotidiano «Le Figaro». Sta anche per pubblicare un nuovo libro di cui non si sa quasi nulla ma che gli ha già portato molti titoli sui giornali e molto interesse. Il suo editore gli ha detto che non lo pubblicherà perché è un manifesto politico e questo cambia la natura del loro accordo. Lo scontro ha fatto sì che Zemmour potesse giocare il ruolo del «cancellato», che gli piace molto perché si sente, come tutti i sovranisti e populisti, perennemente censurato dall’establishment, e soprattutto ha fatto pensare che questa questione dell’ambizione presidenziale non sia soltanto un pettegolezzo.

Ma si candiderà? I più lo danno per sicuro. Soprattutto dopo che si sono svegliati una mattina di fine giugno e hanno visto su alcuni muri le affissioni «Zemmour président» (sfondo nero, il suo volto in primo piano) messe dai ragazzi di «Géneration Z», che dicono di averne appese 10 mila in 86 città. Questi giovani dicono di non aver alcun contatto diretto con Zemmour, la loro passione è spontanea e non diretta dall’altro: hanno fatto i cartelli, si vedono agli «Z apéro» per guardare insieme la trasmissione su Cnews, fanno mobilitazione online con #DemainAvecZemmour, si tengono pronti per quando sarà il momento.

Attorno ai giovani gravitano altre figure molto più timide in questo momento che fanno capo a ex gollisti e a ex lepenisti: la galassia Zemmour non è ancora ben visibile, ma tutti assicurano che si sta già organizzando. A tenerli insieme è Zemmour stesso, il suo carisma e la sua popolarità, ma anche i rancori e le delusioni del passato, assieme a una visione della Francia molto precisa: il declino. Ammorbata dalla sinistra, dall’immigrazione, dalla sottomissione alla cultura mainstream liberale, la Francia ha rinunciato alla sua grandezza. Al momento, nei sondaggi esplorativi, Zemmour è dato al 5 per cento dei consensi. Ma anche qui i suoi sostenitori hanno la risposta pronta: quando Macron annunciò la candidatura alle presidenziali del 2017, con il suo nuovo partito En marche!, aveva più o meno lo stesso peso, e poi sappiamo come è andata a finire.