Il perimetro del paradigma

/ 22.02.2021
di Paolo Di Stefano

È stupefacente come nei momenti chiave della vita civile, quando la confusione (soprattutto mentale) è massima, saltino fuori metafore geometriche: vi ricordate la politica a geometria variabile? E le convergenze parallele di Aldo Moro? Il cerchio magico di Berlusconi è più recente. E ora trionfa il perimetro, proprio quando i confini tra i partiti sembrano aprirsi. Dunque, usato in contrapposizione rispetto alla tendenza approssimativa delle cose: Salvini invita gli alleati a tracciare un perimetro comune, Meloni decide di uscire dal perimetro della coalizione, Conte lancia un allarme sul perimetro della maggioranza, quasi tutti guardano al perimetro europeo, Zingaretti dice che sul perimetro del governo decide Draghi. E non sarà un caso se nelle scorse settimane è nata (a Milano) una nuova rivista fotografica intitolata «Perimetro»…

Per non dire del paradigma. Tutti a dire che la ricostruzione del Ponte di Genova deve essere il paradigma dello sviluppo. Sugli anziani è indispensabile un nuovo paradigma della cura, esorta l’arcivescovo Vincenzo Paglia. Auschwitz è il paradigma del male, ha avvertito Ruth Dureghello, presidente della comunità ebraica di Roma. Il Covid impone un cambio di paradigma sulla politica sanitaria. Provate a battere in un motore di ricerca «cambio di paradigma» o «changement de paradigme» o «change of paradigm» e vi si apriranno innumerevoli scenari. È il mondo intero che vuol cambiare paradigma. Il che fa tornare alla mente la famosa frase di Tancredi nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, secondo cui «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».

Perché tutto resti com’è, serve un cambio di paradigma ma anche un cambio di passo. Dunque, tutti ad auspicare un cambio di passo, come se dal tango si dovesse passare al valzer o al merengue. Contro il cyberbullismo serve un cambio di paradigma, ma anche un cambio di passo. Serve un cambio di passo sull’immigrazione clandestina, serve un cambio di passo sulla politica anti-Covid, serve un cambio di passo sul vaccino e serve un cambio di passo sul turismo… E il clima? Anche sul clima, perché tutto rimanga com’è, occorre un cambio di passo. E un cambio di paradigma. Si impone una valutazione del perimetro del nuovo paradigma.

Ogni crisi di governo è accompagnata da una crisi del linguaggio. «Ognuno deve fare la sua parte» è un pensierino ricorrente pronunciato a reti unificate con espressione assorta e meditabonda. Chi fa la sua parte deve sempre mostrare un’espressione assorta e meditabonda. Del resto, siamo o non siamo personalità di «alto profilo»? Anche questa è una soluzione buona per ogni palato: auspicare sempre un «alto profilo». Per questo molti ridono del ministro Renato Brunetta, della sua modesta statura fisica, 1 metro e 43 centimetri: un governo di alto profilo con Brunetta? Ah ah ah. Il peggio (1 senza 43) è piuttosto la prostrazione generale ai piedi del Salvatore della Patria. Genuflessioni e bacio dell’anello. Uno spettacolo, tanto ripetitivo quanto esilarante, non solo della politica ma anche del giornalismo. Ognuno ha fatto la sua parte, cioè la stessa parte che hanno fatto gli altri, e non dico qual è (ribadisco solo il voto: 1). Fatto sta che c’è attesa: e nell’attesa si sprecano le ovvietà, facendo appello all’unità, rilanciando il dialogo, rafforzando la coesione, mettendo in sicurezza il paese, tenendo il punto (e la virgola?), chiedendo senza se e senza ma un cambio di passo e di paradigma…

Saper creare l’attesa è un’arte. Lo sosteneva anche il teologo gesuita spagnolo Baltasar Gracián, che nel 1647 scrisse un libro di pensieri brevi destinato a diventare un prontuario dell’educazione in Europa: Oracolo manuale ovvero l’arte della prudenza (6–), che Adelphi ha appena mandato in libreria (accompagnato da un lungo saggio di Marc Fumaroli), propone trecento riflessioni e aforismi utili a chi voglia recuperare la saggezza antica per affrontare una fase difficile della vita: quello di Gracián era un mondo quasi impossibile e lui offriva delle chiavi per liberarsi delle catene del rigore giansenista. Una considerazione delle più attuali: «Vi sono uomini dell’ultima ora, ché l’insipienza va sempre da un estremo all’altro. Hanno la volontà e le opinioni di cera. L’ultima sigilla e cancella tutte le altre». C’è bisogno di fare dei nomi? «La lingua è come una belva che, una volta sciolta, difficilmente può essere ricondotta in catene». C’è bisogno di fare nomi? «Occorre parlare come dovessimo far testamento»: scolpire questa frase in tutti i Parlamenti e magari anche nei tribunali accanto a «La legge è uguale per tutti». Riferire a qualche giovane rottamatore rampante: «Quanto più splende una torcia, tanto più in fretta si consuma e meno dura». Riferire ai presenzialisti televisivi, politici giornalisti e naturalmente virologi: «I vuoti di presenza sono compensati con l’acquisto di stima».