Philippe Plantamour (1916-1898): chimico, fisico, naturalista, viene ricordato perlopiù come inventore, nel 1847, di un metodo per la doratura delle minuscole ruote dentate che muovono gli ingranaggi nei meccanismi degli orologi. Interessatissimo ai movimenti lacustri, studiati attraverso un limnografo installato nella sua proprietà in riva al Lemano, su una targhetta di quelle blu per i nomi delle strade, in faccia al Grand Duke pub di Pâquis, è indicato come «sapiente, benefattore della Città».
Nell’estate di quindici anni fa, a un chilometro di distanza da rue Plantamour, il suo nome – nessuno poteva inventarne uno migliore – viene dato a un’orangerie riconvertita in centro natura. Spuntata nel corso della mia recente ondata di studio sfrenato a proposito di questi ottocenteschi ripari d’inverno per arance, continuazione ideale della mia fase pavillonaire-gazebista, è databile attorno al 1872 e attribuibile probabilmente all’architetto Charles Schaeck-Prévost (1810-1874). Dentro fino al collo in questo florido filone di orangerie, tanto da divenire quasi un feuilleton estivo, decido, un po’ così, per sport, di andarci di notte. E così, un sabato notte tropicale di agosto inoltrato, all’inizio del Parc Mon Repos a Ginevra, vedo l’effetto lanterna del pavillon Plantamour (377 m). Cinque vetrate, ritmate da quattro colonne toscane e delineate da cinque archi a sesto ribassato, magicizzano il corpo perpendicolare dell’orangerie in uso fino al 2006.
Lasciata in eredità alla città di Ginevra, assieme alla villa non lontana e tutto il resto della tenuta, ci torno l’indomani, in barca, a visitarla. Gestita dall’associazione la libellule, l’orangerie-centro natura è aperta i pomeriggi di domenica e mercoledì. Un platano maestoso, già lì di sicuro da ben prima dei tempi di Plantamour, accoglie lo sbarco dal battello-mouette. La sua ombra, questa domenica di caldo assurdo, per il momento, è la salvezza. Sulle mura di arenaria, catturo una targa che intreccia due nuovi personaggi alla storia dell’ex orangerie di Philippe Plantamour, ribattezzata, come si legge lì sopra, pavillon Plantamour. Sotto, c’è scritto: «l’edificio è stato restaurato con il sostegno del barone e della baronessa Benjamin de Rothschild». Senza distrarci troppo nei vari rami famigliari, va almeno detto che attraverso la Fondation Maurice et Noémie de Rothschild – una delle dieci fondazioni Rothschild – ci si riferisce qui al barone Benjamin de Rothschild (1963-2021) e sua moglie Ariane (oggi miliardaria a capo di questo impero bancario privato fondato nel 1953 a Parigi e residente nel castello di Pregny, un paio di chilometri da qui).
Biciclette appoggiate contro, un ceppo così così con sopra copie del bollettino dell’associazione, tavolini sparsi con dépliant sopra, incrinano un po’ la visione notturna del réperage-scappata di ieri. I ragazzi dell’associazione sono però, nonostante dentro ci sia un caldo da morire, molto disponibili e gentili; uno mi mostra, sollevando un pezzo di legno, delle orrende blatte del Madagascar. Convivono, dentro un terrario, con i grilli del focolare. Più amabili sono i fasmidi: insetti-stecco che vivono dentro un altro terrario e sembrano dei rami di piante. In alto, nella struttura sotto il tetto vetrato, in parte coperto da tapparelle in legno artigianali, si nota il lavoro serio della rimodernazione, nel 2008, a opera dello studio di architetti Ganz e Müller che si è occupato anche del restauro della cattedrale di Saint Pierre. Per terra, sul pavimento, vagando qua e là, scopro impresse nel beton, impronte di volpe, cinghiale, scoiattolo, cornacchia, tasso, rospo. In multilegno (noce, acero, quercia, faggio, olmo, frassino, ciliegio selvatico) sono composti dei mobili che ospitano in esposizione centinaia di reperti ritrovati nella natura dei dintorni, come per esempio un teschio di cinghiale, denti di natrice viperina, uova di piccione eccetera. Un tocco da Wunderkammer-amici della natura a tutti i costi. In compenso c’è un angolo biblioteca di tutto rispetto. Da una porta vetri aperta, entra un pezzo di lago.
Fuori, tutto attorno, molto rinsecchito c’è un giardino-foresta ispirato agli scritti di Gilles Clément. Accanto al debarcadero Chateubriand, mi sdraio sotto l’ombra plurisecolare del platano che potrebbe riassumere in sé tutto l’amore per le piante.