Il passeggio: piacere ritrovato

/ 10.08.2020
di Luciana Caglio

Età che hai, svago che ti meriti. Nella fase due della riapertura dopo il lockdown, ai giovani sono spettati gli intrattenimenti serali e notturni, nelle discoteche, alle terrazze dei bar, o in spazi all’aperto, appositamenti allestiti, tipo la Foce di  Lugano. Occasioni per ritrovarsi e fare qualcosa insieme, dando sfogo a una naturale esuberanza, magari a rischio di eccessi. Per gli anziani, categoria per il suo bene sotto tutela, ha signficato, più semplicementem, uscire, oltre i limiti di un provvisorio confinamento, e riprendere le abitudini quotidiane. Cioè, camminare in città lungo un percorso assimilato e amato. Per quanto mi concerne, lo considero il mio chilometro: qual è, più o meno, la distanza che separa l’abitazione dall’ufficio, dai negozi, dai bar, fequentati da decenni, dove so già cosa e chi incontrerò.

Infatti, la prevedibilità è la rassicurante prerogativa di questo genere di spostamenti cittadini ripetitivi , che vanta una lunga tradizione e si chiama passeggio, Parola con cui si definisce sia un movimento a piedi sia il luogo dove avviene. Ma sottintende qualcosa in più rispetto a un’esigenza di trasferimento utilitaristico. Un conto è recarsi al lavoro, fare la spesa o sbrigare un’operazione amminisrativa, un conto concedersi una tregua di svago. Citando l’insostituibile Gillo Dorfles, è un valore aggiunto che fa della passeggiata su itinerari noti e in determinati orari e giorni  «un rito fisicamente liberatorio e socialmente appagante».

Nato nella seconda metà dell’800, in concomitanza  con l’avvento del turismo, il rito del passeggio ne è un’emanazione diretta, che ha lasciato segni  riconoscibili. Sono i viali lungomare e lungolago, su cui si affacciano i «grand hotel». A Nizza, la Promenade des Anglais, consacrata icona della «Belle époque». E bella per i privilegiati in grado di offrirsi la pausa elitaria di una vacanza altrove. Gli stessi, inglesi e tedeschi, che animarono sulle sponde del Ceresio il Quai, termine francese entrato persino nel dialetto locale e che ne sottolineava la valenza turistica. Di quella passeggiata, lungo un tragitto alberato, protetto da ringhiere e illuminato da lampioni stile liberty, i luganesi furono, agli inizi, spettatori incuriositi. Nel tardo pomeriggio e nelle serate, soprattutto autunnali,  assistevano alla sfilata di eleganze da ammirare: signore in lungo, mantellina orlata di pelliccia, ombrellino-parasole, signori in marsina, bombetta e bastone dal pomello argentato. Il  cosiddetto bastone da passeggio sarebbe diventato un pezzo da collezione. 

Questo vestirsi per comparire entrò poi nelle abitudini persino nei doveri civici di una città ambiziosa, futura terza piazza finanziara elvetica.  Si rispettava il «dress code», che imponeva abbigliamenti diversificati, secondo le situazioni: ufficio, teatro, chiesa. L’abito della festa era il piacevole obbligo della domenica, indossato dai luganesi che frequentavano la messa di Sant’Antonio e scendevano in Piazza Riforma per l’acuisto di dolci nelle pasticcerie di Via Nassa. Strada che, a sua volta, diventò il passeggio proverbiale dei giovani, che vi praticavano lo «struscio», cioè un su e giù, senza uno scopo preciso, se non quello di vedersi e chiacchierare. Del resto, non riservato esclusivamente a loro. Anche signori in età, fra cui un farmacista e un sindaco, per citare i più noti, animavano, persin a notte tarda, via Nassa e via Canova. Erano i nottambuli a tempo perso, categoria in estinzione, rievocatai da scrittori come Arpino, Fruttero e Lucentini, torinesi doc.

Questo svago senza uno scopo preciso, fine a se stesso, fu poi sostituito dal passeggio organizzato e, innanzi tutto di tipo sportivo. Con l’avvento del jogging, i marciapiedi del centro, il lungolago, il parco Ciani si trasformarono in piste per atleti in tuta e, infine, per ciclisti e cultori del monopattino elettrico. Sopravvivono, tuttavia, i fedeli del passeggio tradizionale, che sfocia in incontri, scambi di opinioni o pettegolezzi,  e  sempre a tempo perso. Ma forse non inutili. Tanto che persino nell’austero Palazzo federale, c’è la galleria dei passi perduti. Una sorta di riabilitazione ufficiale.