Il passaggio dall’università al mondo del lavoro

/ 06.07.2020
di Angelo Rossi

Da noi, le discussioni sull’efficacia della formazione universitaria sono sempre dominate da due questioni pratiche. La prima concerne la fuga dei cervelli, ossia quale sia la percentuale di laureati ticinesi, formati nel Cantone o fuori, che, per avviare la loro carriera, lasciano il Ticino. Con la seconda ci si chiede invece in che misura l’esistenza di istituti universitari come l’USI e la SUPSI possa contribuire a ridurre le partenze dei laureati ticinesi dal loro Cantone d’origine. Da qualche anno l’Ufficio federale di statistica raccoglie sistematicamente dati sull’occupazione dei laureati degli atenei svizzeri un anno e cinque anni dopo il termine degli studi. Con questi dati è possibile dare una risposta alle due questioni di cui sopra che, di fatto, sono collegate. Abbiamo già informato i lettori sui risultati di una ricerca, pubblicata l’anno scorso, stando ai quali il saldo migratorio dei laureati ticinesi, 5 anni dopo la conclusione degli studi, era negativo perché il 57,5 per cento di questa coorte di studenti era occupato fuori Cantone. È giusto precisare che quella ricerca aveva considerato solo i portatori di titoli concesse dalle università cantonali e dai due politecnici federali. Ora invece l’offerta di informazioni sul rapporto tra formazione universitaria e mondo del lavoro ha potuto essere completata con i risultati di un’elaborazione fatta da un gruppo di ricercatori dell’USI, della SUPSI e dell’USTAT, pubblicata un paio di settimane fa, che considera anche le persone che hanno terminato i loro studi alle SUP o che hanno conseguito una abilitazione all’insegnamento.

A differenza della ricerca, citata qui sopra, il nuovo gruppo di ricercatori ha utilizzato per l’analisi i dati relativi alla situazione occupazionale dei laureati dopo un anno dalla fine degli studi. Non è certo possibile riassumere in poche righe i loro risultati. Ci limiteremo perciò a considerare quelli che possono dare risposta alle due domande pratiche che abbiamo evocato iniziando l’articolo. Si tratta, in pratica, di due percentuali: 53 per cento e 9,2 per cento. Si tratta di percentuali di laureati ticinesi che, un anno dopo il termine degli studi, lavorano oltre S. Gottardo. La prima rappresenta la quota di laureati ticinesi che hanno conseguito il loro titolo (bachelor, master o abilitazione all’insegnamento) in un ateneo (università, politecnico, SUP ) d’Oltregottardo, mentre la seconda concerne la quota dei laureati ticinesi all’USI o alla SUPSI che, sempre un anno dopo la fine degli studi, vi lavorano.

La differenza tra questi due valori chiede di essere commentata. Intanto vediamo di stabilire che cosa ci dice la nuova ricerca sulla fuga dei cervelli. Secondo la stessa, nel periodo considerato, ossia gli anni tra il 2010 e il 2016, dagli atenei svizzeri sarebbero usciti, annualmente, 840 laureati ticinesi (490 in quelli d’Oltregottardo e 380 all’USI e alla SUPSI). Un anno dopo la conclusione degli studi 295, ossia il 35 per cento, di questi laureati, sarebbero stati occupati a nord delle Alpi. Sulla fuga dei cervelli si arriva dunque, in questa nuova ricerca, a risultati opposti a quelli che erano stati resi noti sin qui. Essa trova infatti che la maggioranza dei laureati ticinesi, quasi i due terzi, dopo gli studi, trova occupazione in Ticino. Ancora non abbiamo potuto esaminare lo studio appena pubblicato in dettaglio. A prima vista, però, sembrerebbe che la differenza tra i risultati della ricerca precedente e quelli del nuovo studio debbano essere attribuiti al fatto che la prima ricerca si era limitata a considerare il passaggio verso il mercato del lavoro dei laureati delle università e dei politecnici. La nuova ricerca, invece, tiene conto anche delle lauree e delle abilitazioni all’insegnamento distribuite dalla SUPSI. Essa dà quindi una risposta alla seconda domanda provando che l’esistenza di due istituti universitari nel Cantone ha contribuito, nel periodo analizzato, a contenere in modo significativo la fuga dei cervelli. Il contenimento si deve soprattutto al fatto che una larga maggioranza dei laureati della SUPSI, in primis i docenti che conseguono la loro abilitazione all’insegnamento, trova occupazione nell’economia cantonale.