È Pierre-Louis Bouvier (1765-1836), grande miniaturista ginevrino, l’ispiratore della torre neogotica sopra le false rovine con cascata, da scoprire nell’angolo più segreto e romantico del parco Mon-Repos (505 m) a Losanna dove cammino svagato una fine mattina d’inizio estate. Autore di delicatissimi ritrattini come quello per esempio di Madame de Staël, di un manuale di successo intitolato Manuel des jeunes artistes et amateurs en peinture (1827), e inventore di una macchina per macinare i colori, questo progetto gli viene affidato da Vincent Perdonnet (1768-1850). Agente di cambio di Vevey che ha fatto fortuna a Parigi ed è una delle figure principali della storia di questo parco aperto al pubblico nel 1921, dove, adesso, ammiro i riflessi purpurei-ramati del fogliame di un faggio ultracentenario varietà atropunicea.
Il portamento dei liriodendri, noti anche come tulipiferi, piantati verso il 1818 secondo una prospettiva atmosferica studiata da un architetto paesaggista parigino specialista in giardini all’inglese, è anche abbastanza ammirevole. I camminamenti ghiaiosi, quasi labirintici, portano il passeggiatore a perdersi in scorci inattesi con carpe koi che guizzano tra le ninfee, giochi d’acqua tra rocaille e papaveri, panchine nascoste, umbratili: per innamorati o pensatori solitari. Camminando, si svela man mano la messa in scena riposante che al contempo provoca fantasticherie come quadretti di vedutisti inglesi malinconici. Versi di pappagalli, molti, di tutti i colori, alcuni enormi, buffi. A prima vista potrebbero divertire poi però fanno anche un po’ pena, così rinchiusi nelle voliere. Sarebbe bello vederli volare in giro come quelli che ricordo, liberi, nei parchi di New Delhi. Alle spalle delle voliere ci sono le ex scuderie diventate, da un centinaio d’anni, degli atelier.
L’attrazione maggiore, oltre alla torre nata da un acquarello, è la Folie Voltaire. Un chiosco ottagonale settecentesco che da una ventina d’anni è una casa da tè rinomata per le sue crêpes e limonate fatte in casa. Il bel nome non è a vanvera. Folie è il termine architettonico giusto, valido pure per la torre, per questo tipo di edificio che in italiano è detto capriccio. E prende il nome del famoso filosofo francese perché a una cinquantina di passi di qui, nella villa Mon-Repos, tra il 1755 e il 1759, era di casa. Amico di Philippe de Gentil (1710-1773), terzo marchese di Langallerie e barone di Saintonge, altro personaggio chiave di questo luogo di cui era proprietario prima di Perdonnet, Voltaire è legato al parc de Mon-Repos soprattutto per via della sua rappresentazione, nel febbraio 1757, di Zaïre. Tragedia in cinque atti interpretata dallo stesso Voltaire nel ruolo di Lusignan, applaudita tra le mura del teatro domestico del marchese morto qui per le conseguenze di un morso di un gatto affetto dal virus della rabbia. All’ombra degli ippocastani, sorseggio un tè di menta marocchino.
Da molto non mi sentivo così a casa, come alla Folie Voltaire. Oasi losannese di pura bellezza dove la qualità dell’ombra, maculata dalla lieve luce tardo mattinale, la gentilezza della troupe che la gestisce, le fronde degli alberi in giro, il tono di voce degli avventori nonché la grazia di alcune avventrici, le pietre olivastre del chiosco con persiane verde scuro e in cima sul tetto un pellicano-pinnacolo in pietra che si becca il petto, l’odore d’inizio estate da parco cittadino, sono solo alcuni degli ingredienti che combinati, inducono a una mezzoretta di gioia. Sul selciato davanti alla villa neoclassica, con i sanpietrini, sono formati i cinque cerchi olimpici intrecciati. Oltre Voltaire, dal 1922, la villa è nota per aver ospitato il Comitato olimpico internazionale per decenni e a un certo punto, al terzo piano, persino, in pianta stabile, il barone Pierre De Coubertin (1863-1937). La moglie dell’inventore delle olimpiadi moderne, dopo la morte del marito, è rimasta a vivere qui nel loro appartamento fino al 1963. Non si è mai mossa, La Baigneuse (1932) in pietra sul prato lì davanti, dove alcune famigliole fanno un picnic. Scolpita in pietra da Milo Martin non lontano da qui, nell’incantevole orangerie alle spalle del Tribunale federale che spezza in due il parco. È in quella parte superiore, sopra l’avenue du Tribunal-Fédéral, che si trova la torre neogotica costruita seguendo l’acquarello di Pierre-Louis Bouvier intitolato Projet de tourelle de Mon-Repos (1820). L’avvisto salendo, magnifica e lugubre, in pietra calcarea. Ai suoi piedi, dalle false rovine, sgorga la cascata. C’è anche un sotterraneo enigmatico, chiuso da un’inferriata. Anfratti per imboscarsi non mancano. La porticina della torre, ad arco gotico, è chiusa. Le feritoie ricordano dei buchi della serratura capovolti. Odore di hashish. Proseguendo nel boschetto si arriva a un tempietto monoptero dove la vista abbraccia il Lemano.
Ritorno giù nella parte ovoidale con i percorsi disorientanti. Alla fine è solo sdraiandosi nell’erba, a piedi nudi, che si entra in vero rapporto con il posto. Nasce così d’un tratto, tra le comuni margheritine e l’odore d’erba in giugno, un legame forte con il luogo, tipico di nomadi e sradicati. E si acuisce la sua condivisione con chi, in tutti questi anni, ci ha passato qualche ora di riposo assoluto. Le nuvole ora sono in stile John Constable.