Il parco di Descombes a Lancy

/ 24.10.2022
di Oliver Scharpf

Nella luce autunnale di un tardo pomeriggio a metà ottobre, quando la rugosità delle querce è riconforto assoluto, quattordici scalini in beton bocciardato scendono in un boschetto. L’arrivo è un ruscello suburbano. Il camminamento s’interrompe un po’ prima, lasciando uno spazio – come una pausa musicale – tra il passeggiatore e questo rigagnolo scampato alle maxi lottizzazioni per atroci palazzoni. Le petit Voiret, verso il quale è stato orientato questo parchetto criptico realizzato negli anni ottanta a Lancy: comune-città di quasi trentaquattromila anime a qualche fermata di tram da Ginevra. Un pezzettino di terra smarrito, rimasto al margine, un terreno di scarto ridefinito dall’architetto paesaggista ginevrino Georges Descombes, classe 1939.

Sull’ultimo gradino, seminascosti dalle foglie di roverella, tre quadratini di maiolica blu con un triangolino azzurro sbiadito. Altri ventisei scalini, più in là, portano sempre perpendicolarmente, al petit Voiret e finiscono apposta davanti a un ontano: tragitto che mi strappa un sorriso. Disappunto, invece, per la mancanza d’acqua nel bacino triangolare della fontana vuota, piena di foglie morte. La particolarità dei due muretti con mattoni elementari a vista che formano il triangolo, è quella di una diversa altezza e lunghezza. Così si toccano appena, stabilendo un’asimmetria esplicita: elogio dell’errore, tentativo di stupire attraverso l’intempestività.

Muretti come lego, tracce, accenni, piste, un parco-rebus già non facile da decifrare che purtroppo con l’incuria diventa di difficile lettura. Sconforto quando trovo sbarrato il pezzo forte del parco di Descombes a Lancy (398 m), meglio noto come Parc en Sauvy. La passerella-tunnel sopra il ruscello e sotto la strada dove stanno facendo dei lavori per l’estensione della linea di tram quindici. Cantiere che aumenta la confusione del territorio ferito, trasformato cento anni fa con bonifiche-drenaggi per serre industriali e soffocato in seguito da unità abitative peggio di gabbie per conigli. Lavori in corso che però non dovrebbero influire sui percorsi possibili in questo parco sbilenco e riflessivo.

Osannato alla fine degli anni ottanta su riviste come «Domus» e al quale hanno consacrato un prezioso libro di centosettantadue pagine – Il territorio transitivo (1988) – con testi di Franco Purini, André Corboz, Herman Hertzberger, David Cooper, Giordano Tironi, e di Georges Descombes stesso, oggi è trascurato. Tunnel casereccio ispirato dai giochi avventurosi fatti da bambino proprio qui: il ruscello spariva in una canalizzazione dove s’introduceva con i suoi amici «e la cui memoria molto precisa giocava sul cupo, l’eco, il mormorio dell’acqua e la voce rimbombante» racconta Descombes. In mezzo c’era anche un rischioso punto d’osservazione del traffico, un camino d’accesso verticale aperto sulla strada. Un luogo dunque sia sotterraneo che aereo. È questo dispositivo, gioco perfetto inaccessibile agli adulti, che Descombes ha cercato di restituire attraverso un tubo di lamiera in acciaio ondulato del diametro di tre metri e lunghezza di trenta. In mezzo al quale c’è uno squarcio zenitale che ad André Corboz ha fatto pensare alle settecentesche gallerie in rovina dipinte da Hubert Robert.

Come il divieto nelle fiabe puntualmente trasgredito, non posso non prendermi il rischio di avventurarmi in questo sottopassaggio: aggiro la ramina, mi aggrappo in qualche modo, salto dentro la passerella. I passi sul legno sono attutiti da un letto di foglie, il cammino è rassicurato da fronde ancora verdi tutto intorno. Sparisco nel buco nero del tunnel di lamiera d’acciaio imbullonato sul posto, all’epoca. Inciampo in qualcosa e quasi cado, indagare a fondo il paesaggio è un lavoro pericoloso. Una pensilina che richiama le serre da pianura orticola-industriale e una pergola ad arco – ritrovo attuale per cannaioli garbati di periferia – sono due altri dispositivi architettonici da dove partono i tragitti per il ruscello. Il terzo, trovato adesso, era, in origine, un angolo giochi di sabbia per bambini che alludeva dichiaratamente alle case abbattute dei contadini. Un parchetto di delicata denuncia. Con un filo di speranza: «nuove fondazioni proposte ai piccoli dell’uomo».

Oggi le erbacce hanno preso il posto della sabbia e i perimetri dei muretti ricordano solo fondamenta di case demolite.