Il viaggio, anche solo per trovare un parchetto ai margini di Losanna la cui attrazione-faro è un canale in stile olandese unico in Svizzera, mi toglie da uno stato di torpore mentale legato alla stanzialità. La testa, troppo spesso sulle nuvole, si riattiva, lo sguardo sul mondo si rischiara, l’animo torna in pista. In place de la Riponne prendo l’ottantasette, il cui capolinea (Désert) anacoretico scritto sul bus in alto attraverso i diodi a emissione luminosa, è la mia meta. È nel 1782 che questo posto, raggiunto in un quarto d’ora neanche, prende il nome di Désert. Desiderio di Louis-Arnold Juste de Constant de Rebecque (1726-1812), colonnello di un reggimento svizzero al servizio dell’Olanda e papà di Benjamin Constant (1767-1830): l’inventore del romanzo psicologico. Alcuni giardini ricercati, appena fuori dalle città, per via della moda del momento che ne enfatizza l’allontanarsi dal mondo, vengono chiamati Hermitage, Solitude o proprio Désert.
Come il Désert de Retz, giardino illuminista creato tra il 1777 e il 1785 fuori Parigi da cui il colonnello probabilmente trae il nome e dove ancora oggi, a ventitré chilometri dalla Tour Eiffel, tra le varie folies architettoniche, si può ammirare una straordinaria tenda dei tartari. All’ombra di un maestoso tiglio in fiore, al parc du Désert (570 m) a Losanna, la folie architettonica che mi accoglie e non finisce di stupire è un pollaio neogotico. Opera di Alexandre Perregaux (1749-1808), architetto noto anche come autore di scatole in tartaruga e superbe sculture in avorio miniaturizzate al punto che a occhio nudo non si vedono certi dettagli. Risalente al 1806 e restaurato a regola d’arte anni fa, seguo la superficie illusionistica della torretta neogotica – la prima, dicono, nella regione, di una serie provocata da una forte corrente romantica-malinconica – che riproduce dipinti, i mattoni in cotto. Le finestre trompe-l’œil con ringhiera a losanghe, completano questa follia architettonica unica al mondo. L’erba alta non disturba, anzi. Peccato però non ci siano le galline ad animare questo fantastico pollaio neogotico. Non lontana, rialzata rispetto al resto, parte la prospettiva del viale ombreggiato da tigli con panchine verdi, di legno, a onda, dove mi siedo. Un cagnone zoppicante, un po’ spelacchiato, di nome Oural, come le montagne russe, viene a trovarmi. Anche la sua migliore amica è claudicante: una signora che passeggia incerta, assieme al suo vecchio labrador, sotto i tigli, piano piano, verso il punto di fuga. La magia del canale – forse anche perché sono capitato, per caso, nel periodo di fioritura delle ninfee – agisce fin dai primi passi in cui, parallelo al viale alberato, lo si scorge poco più in basso.
In asse con la villa del colonnello color rosa oleandro, ex squat storico (1991-2016) e oggi Maison de quartier per attività tipo yoga kundalini, salsa e jass, il canale spalanca una prospettiva super inusuale. Il canale all’olandese – lungo centotrentadue metri e largo quasi sei, alimentato da un ruscello e una sorgente nel boschetto che sale sulla collina molassica – si racconta sia stato costruito per alleviare la nostalgia di casa della moglie del colonnello Louis-Arnold Juste de Constant de Rebecque. Ma la moglie, Henriette, morta di parto dando alla luce Benjamin Constant, non era olandese, perciò sarà stata la sua di nostalgia per quando era a capo del suo reggimento in Olanda. O un capriccio tanto per, così, per sport. Incredibile come uno specchio d’acqua così inconsueto, passeggiandoci a fianco, un pomeriggio ai primi di giugno, possa rallegrare lo spirito. Oltre a una marea di ninfee incantevoli, splendidi iris blu senza nome e qua e là l’estroso giallo dei gigli di palude. Il gracidare delle rane è il tocco finale allo scorcio bucolico, tra palazzoni di periferia. Al confine con Prilly, anche grazie allo stato brado dell’erba alta e altri accorgimenti di selvaticità che amo, qui si mette ora in scena uno scorcio di campagna per spiriti contemplativi che percorrono senza fretta il canale. Un tempo tenuta di campagna vera dove gironzolava, da bambino, Benjamin Constant. Autore di Adolphe (1816): romanzo dove con lo stratagemma del manoscritto di uno sconosciuto trovato in un albergo di Cosenza, in piena libertà, scavando con profondità psicologica nei personaggi, si racconta la decomposizione di un amore.