«“Povero te! / “E povera anche la Swisscom!”». Sarebbe eccessivo riproporre anche solo la prima parte della bella canzone di Jannacci. Credo che il passaggio parafrasato (il cantautore dice «“Povero re!” / “E povero anche il cavallo!”») possa bastare per inquadrare nel mirino l’ente parastatale (non dimentichiamolo: la Confederazione detiene il 51% del capitale della principale società di telecomunicazioni elvetica), non per le sue offerte nell’intrattenimento e nell’informazione attraverso le offerte di Bluewin (sempre più apertamente concorrenziali con i programmi della Ssr, quindi anche della Rsi), ma per il suo recente coinvolgimento a livello di sorveglianza digitale nazionale. Come forse ricorderete lo scorso mese di marzo il Consiglio federale ha chiesto a Swisscom di utilizzare i dati relativi ai dispositivi mobili sul nostro territorio per appurare se gli svizzeri rispettano, o meno, le norme riguardanti la distanza sociale e il divieto di assembramento. A togliere ogni dubbio sulla liceità di questa operazione e su eventuali pericoli per la privacy sono intervenute diverse personalità, persino «Mister Prezzi» che, facendo leva sull’anonimità delle informazioni captate digitalmente, assicurano che non ci sarà alcuna violazione sulla protezione dei dati. Tutti tranquilli, dunque? Personalmente lo sono, dal momento che non possiedo alcun cellulare rintracciabile attraverso abbonamenti. Ma un dubbio su quanto si è architettato in fretta e furia mi è venuto leggendo (su Ticinonline) i risultati della prima analisi effettuata da Swisscom. I dati hanno mostrato che dopo l’inizio del lockdown in Svizzera la gente si muove meno sia per frequenza che per distanza: «Si parla di circa il 65% di spostamenti in meno in Ticino (il cantone più “fermo”). Nel canton Vaud invece il calo è del 58% mentre a Zurigo del 52%». D’accordo. Ma, di grazia: se Swisscom riesce a commentare i dati raccolti solo due giorni dopo aver ottenuto il mandato del governo significa che ha potuto fare paragoni con dati analoghi raccolti prima dell’incarico. Allora: quando e perché questi dati sono stati raccolti? E come mai sinora nessuno si è interessato di queste «virtù recondite» di Swisscom? Inutile attendersi risposte: le vie della verità (soprattutto a livello di strategie di marketing) sono più o meno le stesse che una volta conducevano a Roma; in più oggi presentano anche migliaia di incroci e rotatorie... Inevitabile allora approdare al solito e tranquillizzante «Tütt a post», anche se un dubbio rimane: la solerzia della Swisscom nel dare prova della sua efficienza, non vi ricorda un po’ l’agire della proverbiale gatta frettolosa?
Dalla Swisscom alla Posta (nel «dopo Coronavirus» sarà opportuno chinarsi sul ruolo futuro di questi pilastri del parastato). Anche qui, la pandemia ha finito per mettere in evidenza una preparazione non indifferente, a livello della prossimità come pure per le infrasrutture. Se da una parte il «lockdown» ha obbligato la Posta alla chiusura temporanea di una serie di punti di vendita che praticamente non erano più frequentati da gente «ferma», dall’altra esso ha richiesto l’implementazione di numerosi cambiamenti legati alle disposizioni imposte dalle autorità, come pure da mutamenti del traffico postale. Ne è un esempio l’aumento delle vendite online, quindi delle consegne a domicilio tramite pacchi, con i responsabili della Posta preoccupati perché impossibilitati dal mantenere termini di consegna normali. Emergenze indotte, in parte comprensibili (quelle dei pacchi), altre un po’ meno: che senso ha continuare la differenziazione tra posta A e posta B, quindi un’affrancatura più costosa, quando è stato subito evidente che il servizio accelerato non sarebbe stato più possibile?
Comunque tra le tante pieghe dei servizi postali in tempi di Coronavirus, mi è capitato un caso pratico che merita segnalazione e anche elogio. Una mattina di inizio aprile ricevo una raccomandata (una password per modificare un accesso online) e il «mio» postino suona: ha bisogno della firma e devo scendere all’ingresso. Lo trovo armato non solo del solito apparecchio per la firma elettronica, ma anche di uno «sprayer» con detergente. Prima spruzza l’apparecchio e la penna elettronica, che poi asciuga con un piccolo panno: poi, ma una volta che io ha tracciato i miei geroglifici di ricevuta, ecco pronta una spruzzatina anche per la mia mano. Mi viene un po’ da ridere, ma ha subito avuto paura di offendere il «mio» postino. Allora l’ho ringraziato, gli ho chiesto come andava il lavoro, pensando alle consegne «brevi manu» e al «supplemento spray». Lui mi ha spiegato l’andamento, aggiungendo una rivelazione: «Sa, ho notato che la gente ora si scrive di più. Vedo cartoline con saluti scherzosi o variopinti di nipoti ai nonni, altre un po’ più intime... Insomma: c’è un ritorno alla scrittura che fa ben sperare». Poi riparte con il suo veicolo elettrico, per altre consegne e altre «sprayate».