Bisogna proprio avere le fette di salame sugli occhi, per non accorgersi, pas-sandoci via, di Palazzo Castelmur. Quel castello sul rosa, totalmente fuori luogo, è un ricordo antico, senza nome, depositato da quasi sempre nel subconscio. Mi ha colpito da piccolo, vedendolo dal finestrino della macchina, passando via da lì per andare a sciare in Engadina. E così, un mattino temporalesco di agosto mi sembra ora di andare a dargli un’occhiata in località Coltura, a Stampa. A piedi, arrivando da dietro, assaporo passo dopo passo lo scoprire che il castello avvistabile dalla strada principale è illusionistico. È una vecchia casa dal tetto in piode con solo la facciata davanti turrita, la cui merlatura a coda di rondine attira gli sguardi increduli dei viaggiatori. Una messinscena teatrale, la cui bellezza è nel suo disvelamento voluto, come un gioco paesaggistico per passeggiatori. E di colpo lo preferisco di gran lunga ai castelli veri che sono, va pur detto una buona volta, di una noia mortale.
Amo da matti i momenti prima del temporale, le rondini ora sembrano impazzite, percorro con gli occhi le mura dal colore sfuggente afferrabile solo per un momento in un rosso pompeiano slavato che sfocia in un rosa isolano. Emerge superbo perché scolorito dal tempo, un motivo a scacchiera da decifrare. Mattoni-trompe-l’œil, dipinti formando dei rombi, come Palazzo Ducale a Venezia, dall’imbianchino Zaverio Tessera. Ingaggiato da Giovanni de Castelmur (1800-1871): l’ideologo di questo palazzo-castello, unico nel suo genere di settecentesca casa patrizia vallerana truccata, tra il 1848 e 1854, in castello gotico lombardo-veneto. Nato e cresciuto a Marsiglia dove incrementa la fortuna di famiglia fatta nel ramo della pasticceria. La casa, affacciata sulla piazzetta di pietre fluviali, risale al 1723 ed è stata costruita da muratori valmaggesi, per Zuane Redolfi (1658-1742): nipote di pasticceri emigrati a Venezia. Varco, alle undici in punto, la soglia di palazzo Castelmur (1017 m) a Coltura. Proprietà dal 1961 del comune di Bregaglia e aperto al pubblico come museo, la sua anima è Gian Andrea Walther, impegnato adesso ad accogliere come si deve una piccola visitatrice di nome Amira.
Alle sue spalle, la prima meraviglia: un modellino di un edificio dei Castelmur a Marsiglia costruito cinque anni fa con zollette di zucchero – omaggio ai Zuckerbäcker grigionesi in giro per il mondo – dall’artista sudtirolese Manfred Alois Mayr. Bartolomeo Castelmur, fratello di Giovanni, è l’autore dei sette acquarelli alle pareti di cembro della stüa bargaiota con soggetto uccelli esotici. Una dozzina di colibrì imbalsamati, appollaiati su un ramo di cartapesta adornato da fiori di ciliegio, bacche, e altre diavolerie floreali, sotto una campana di vetro, stupirebbero anche il più scafato dei wunderkammeristi. Ma a bocca aperta rimango all’inizio delle scale, dove sul corrimano c’è una sfera di cristallo millefiori della manifattura Saint-Louis. Mentre anche il semplice contrasto della pietra delle scale con il velluto rosa del corrimano, può estasiare. Al primo piano, altre nove sfere sono in vetrina; due anni di lavoro ci vogliono per creare questo effetto millefiori che ricorda qualcosa di una barriera corallina. In tutto erano sedici, otto per rampa di scale, cinque sono sparite, una caduta è conservata con cura in un armadio. A guardarle bene, oltre ai fiori si possono scorgere minuscole siluette nere come una volpe, coppie di ballerini, un diavolo. Incanta una cameretta nella torre: tutta dipinta per dare l’illusione di trovarsi sotto un pergolato con pianta rampicante e fiori qua e là tra l’azzurro del cielo. Mobili da giardino d’epoca color panna e turchese, un tavolino-nido di ferro battuto intrecciato con sopra una felce, completano quest’angolo di mondo che vale il viaggio. Girovagando – tra tappezzerie damascate color granita di more di rovo, decorazioni optical blu oltremare e oro, dipinti rococò-kitsch di Gaspare Tirinanzi, armi esotiche delle isole Fiji – dalle finestre vedo entrare il giardino e il paesaggio intorno. Alberi curiosi, pinete e nevai sopra tra le rocce, il tutto intinto nella luce di temporale imminente che accresce la magia di queste stanze.
All’ultimo piano c’è la mostra permanente donata da Dolf Kaiser e intitolata come il suo libro-faro Fast ein Volk von Zuckerbäckern? (1985): Quasi un popolo di pasticceri? Il pezzo forte è forse il diorama che ritrae l’interno della Conditorei Barth & Cloetta a Breslau. Brillano gli occhi e la fantasia galoppa anche con le scatole di fruits glacés della Confiserie Castromuro di rue de Paradis diciannove a Marsiglia, quella a forma di mandorla dei calis-sons d’Aix della Confiserie Léonard Parli ad Aix-en-Provence, le tazzine da caffè della pasticceria Tramer a Cagliari, Tarnuzzer a Vercelli, Stoppani a Bari e altro ancora. A un certo punto della visita al «castello dei baroni pasticceri» contenuta in Cuochi, artisti, e visionari (2004), Paolo Paci viene fissato da un dagherrotipo che immortala Rodolphe Salis. Nipote di pasticceri, è il fondatore del Chat noir, leggendario cabaret a Montmartre. Palazzo Castelmur, tra l’altro, è sede dell’archivio storico della Bregaglia, così Gian Andrea Walther, custode spirituale, mi porta in una stanza dove trova una scatola con tutto il materiale mirabolante su Rodolphe Salis (1851-1897). Un racconto, uscito sul suo settimanale «Le Chat noir» del ventisette giugno 1885, è intitolato Voyage imprevu.