L’esperienza fatta di recente al Salone del Libro di Torino mi ha fatto riflettere su uno degli aspetti della schizofrenia del nostro tempo. Da un lato ci innamoriamo di nuovi stili di vita che ci aiutano a ritrovare l’armonia con noi stessi, stili di vita che ci riavvicinano al contesto naturale e ci aiutano a promuovere tendenze urbane green come la coltivazione e la forestazione urbana. Dall’altro ci ammazziamo di rumori e frastuoni dall’alba al tramonto. Pensate che esageri? Provate a farci caso la prossima volta che entrate in un negozio, andate al bar o salite su un mezzo pubblico. Non vi è mai capitato di addormentarvi sul treno e svegliarvi per la suoneria del cellulare di quello a fianco che suona ogni dieci minuti? O per il video che il ragazzo di fronte fa vedere alla sua fidanzata? In questi casi, la modalità silenziosa o l’uso delle cuffiette non sono ancora entrati nelle regole del bon ton.
Ma torniamo al Salone del Libro. Penserete, se non ci siete mai stati, che sia per definizione silenzioso o, quanto meno, visto che è frequentato da persone che amano la lettura e ci finiscono proprio per scoprire le ultime novità editoriali, che ci siano delle isole pensate per fermarsi un attimo a respirare, pensare, leggere qualche pagina del libro appena acquistato. Un po’ come quelle che oggi si trovano nelle sale di attesa degli aeroporti dove puoi ricaricare il tuo cellulare e collegarti al wi-fi. Invece no, il Salone è un fuggi fuggi di persone, molte di loro nemmeno camminano, corrono da uno stand all’altro per paura di perdersi qualcosa. Non sono rilassate ma in affanno e non si fermano a chiacchierare con chi è allo stand e potrebbe dare un buon consiglio di lettura o anche soltanto chiarire qualche dubbio su un titolo. Sia mai, già sentir dire un «buongiorno», accompagnato da un sorriso, mette i più in fuga verso lo stand successivo. Mentre giovani e giovanissimi, impermeabili, sfrecciano tra i corridoi con la faccia incollata sullo schermo dei loro smartphone e l’altoparlante, a mo’ di annuncio sui binari della stazione, gracchia qualcosa di incomprensibile sul prossimo, imperdibile evento in programma.
Tanti bellissimi libri sono riuniti in una babele chiassosa specchio del nostro tempo frenetico e superficiale. Per concludere, la sera vai al ristorante e trovi la TV accesa che trasmette la partita di calcio e, come se non bastasse, alle tue spalle un’orda di bambini inferociti grida alle patatine fritte. Ti rassegni, ti dici che può capitare a tutti una giornata storta e rumorosa.
Poi però, il mattino dopo ti svegli, vai a bere un buon cappuccino nel tuo bar preferito, ed entri nel negozio di make up più vicino per comprare quel rossetto che ti sei dimenticata a casa. Dentro fa caldo, è umido, l’aria condizionata è spenta. Ti convinci che il rossetto è necessario, la commessa è al cellulare con il fidanzato, ride tutta contenta. La guardi, mette il fidanzato in attesa, ti risponde che i rossetti sono nell’angolo in fondo. Cerchi di concentrarti per trovare il colore giusto in pochi secondi, prima di scioglierti, ma è impossibile perché nel tuo timpano destro entra prepotente l’ultimo successo di Alvaro Soler. Non resisti, sono appena le 9.00, esci e pensi che il rossetto sarà per un’altra volta. La commessa non ci fa caso, è ancora al cellulare.
Poi per disintossicarci andiamo nelle Spa o in qualche oasi verde, facciamo il digiuno da cellulare e la cura del silenzio. Nulla in contrario ma forse dovremmo fare qualche cambiamento a monte, porci qualche domanda sull’inquinamento acustico che generiamo e nel quale siamo immersi. Su quel rumore che copre percezioni e ritmi interiori, ci distrae, infastidisce, assorbe inutilmente parte delle nostre energie, spreca vibrazioni umane importanti, quelle per intenderci, che la lettura di un buon libro può generare o, anche, un massaggio nell’acqua con le campane tibetane.