Il Nettuno di Trevano

/ 27.09.2021
di Oliver Scharpf

Non credevo ai miei occhi, l’altro giorno, correndo giù accanto al vigneto, alla vista dello zampillo. La fontana con il Nettuno – amaro rimasuglio scampato allo scempio cantonale della distruzione del castello di Trevano – vista vuota da sempre, era rinata. Ho corso fino a Gandria, come previsto, con più grinta e speranza, nonostante tutto, grazie a quello scroscio d’acqua quasi miracoloso, deciso a ritornarci, con più calma. Posteggio la vespa piùomeno dove la posteggiavo secoli fa, ai tempi del liceo. E così, uno dei primi mattini d’autunno, vado a trovare il Nettuno di Trevano (343 m), opera di Vital Gabriel Dubray (1813-1892), scultore parigino. Fusa in bronzo nel 1856 dalla celebre fonderia Ducel, nella dépendance di un antico castello a Pocé-sur-Cisse, villaggio nella Valle della Loira dove i castelli non mancano, eccola là, la statua di Nettuno, a vigilare di nuovo su uno specchio d’acqua. In pietra di Saltrio, dicono, è la fontana più grande del Ticino.

Mi siedo sul bordo, la pietra grigiastra, chiazzata di bianco e nero, con qualche sottile crepa, racconta dignitosa la sua storia. Ai miei tempi era vuota; in mezzo, posteggiati, i resti della fontana orientale: uno dentro l’altro, i due calici giganteschi facevano venire in mente dei tulipani fuori scala. Un piede in testa a un mostro marino, la divinità romana delle acque correnti – e dal 399 avanti Cristo, Dio del mare – mostra un polpaccio sportivo. Posizionato su un piedistallo in rocaille, l’atletico Nettuno di Trevano, ha però, per via del restauro, una patina un po’ così. Tipo plastilina, color vomito. Stessa sorte il Pan che gli tiene compagnia, lì sotto le fronde di un faggio pendulo. In origine dorato, come il Nettuno identico della fontana di Clermont-Ferrand, dove sono sopravvissuti due gettarelli d’acqua, sputati fuori dalla bocca dei due mostri simmetrici. Nessun gioco d’acqua qui, solo la presenza, più in là, di una Marianna senza naso. Di Nettuni neobarocchi così, firmati Dubray, ne trovate ancora altri a Pocé-sur-Cisse, Rio de Janeiro, Riobamba, La Jonchère-Saint-Maurice, Luxeuil-Les-Bains, Le Havre, Arras, Cahors, Cerelles, Condécourt, Ghisoni, Sète, Colonia, Magdeburgo, Montevideo, Lima, Città del Messico, Santiago del Cile, Valparaiso. Una costellazione di Nettuni che unisce tra loro questi luoghi. Come Trevano, frazione di Porza, dove nel 1871, il barone russo Paul von Derwies (1826-1881), imprenditore ferroviario e pianista, fa costruire la dimora dei suoi sogni definita da qualcuno, all’epoca, come «uno di quei palazzi fantastici che si dipingono sulle porcellane della Cina». Depredato per bene, il castello di Trevano – noto anche, dopo il periodo Lombard, come il Castello della Musica, con sala concerti senza eguali e teatro da lasciare a bocca aperta – assieme al suo parco con sette laghetti che richiamavano i sette mari eccetera, il trentuno ottobre del 1961, alle quattro e cinque del pomeriggio, per decisione del Canton Ticino (che aveva comprato il castello per duecentomila franchi), vengono fatti saltare in aria con duecentotrenta chili di altorfite. Cinquecentosettantamila franchi, il dodici giugno 2013, vengono concessi dal Dipartimento delle finanze, per il restauro della «Fontana Nettuno presso il parco ex castello di Trevano».

Lo zampillo è all’altezza di un luogo di memoria, che ricordi il sogno di quel castello e la vergogna di un cantone, la scultura di Nettuno però grida vendetta. La tocco per sapere di più, faccio pure toc toc, ma non riesco a capire bene. Ad ogni modo non ha più granché da dire con questa patina tremenda. Forse è una superficie protettiva, ma ben vengano le intemperie, la ruggine, la rovina del tempo, piuttosto che questa piatta patina patetica. Un mio amico antiquario, dall’occhio più esperto, a cui chiedo un parere, riconoscendo lo stesso problema di cui soffre un gatto di Remo Rossi, sospetta siano repliche. Comunque sia, mi sembra uno sberleffo ulteriore, dopo non essere andati tanto per il sottile con tutto il resto, oltre a costruire – dove sorgeva «una delle più belle residenze della Svizzera» come veniva descritta nelle guide turistiche – tre scuole una più orrenda dell’altra. Il piedistallo, in rocaille, almeno, conserva la sua anima. Lavoro della famiglia Schmid – artigiani di Vals venuti ad abitare al Sassello, quartiere di Lugano raso al suolo tanto per cambiare – autori, pare, anche della fontana tutta in rocaille in piazza Manzoni.

Di fronte al Nettuno, oltre la strada, la facciata trompe-l’œil stile chalet-isba, restaurata anni fa come si deve, ricorda che lì c’era l’ex villaggio del personale. Alle sue spalle, qui dietro, lo stravagante boschetto e i resti delle grotte di tufo. Saluto il Dio Pan, opera di Antoine Coysevox datata 1709 e nota come Berger flûteur o Faune jouant de la flûte, il cui originale, in marmo, dopo aver ornato il castello di Marly – saccheggiato durante la Rivoluzione francese – è esposta al Louvre. Facendo astrazione dalla patina sospetta, diverte, sul retro del fauno che suona il flauto a traverso, con in grembo una pelle di pecora e un flauto di pan a penzoloni, il piccolo satiro. Piedi caprini e faccia da putto, è rivolto al boschetto di pregio dimenticato da tutti, quasi a voler ridonare un’aria satiresca a quest’angolo di mondo. Rimane percepibile, al di là di tutto, il movimento del Nettuno che armeggia con il tridente, di certo non paragonabile alla forza e grazia di un Giambologna ma non privo di tenacia.