Il monumento a Tyndall sulla Belalp

/ 16.08.2021
di Oliver Scharpf

Nel fitto di una foresta di conifere in Svevia, un mattino della mia infanzia, attraverso il vapore acqueo che sale, la luce penetra in fasci di luce obliqua. È l’effetto Tyndall. Un fenomeno di diffusione della luce studiato dal fisico irlandese John Tyndall (1820-1893) che passa trentadue estati della sua vita a Belalp. Dove sto salendo a passo convinto, fiero di boicottare la maxi cabinovia che da Blatten porta su tutti, intralcianti mountainbikes comprese, in dieci minuti. L’odore persuasivo dei pecci appena dopo un’acquazzone, il paesino di Egga all’improvviso con i granai in larice imbrunito sospesi con funghi di pietra, il passaggio leggiadro al bosco di larici ultracentenari, il verdino psichedelico dei pascoli verticali, lo scampanio caprino, le endorfine prodotte, le idee, i ricordi sepolti ritornati nitidi, l’esserci, sono solo alcuni degli elementi che compongono due orette e qualcosa di ascesa. L’intuizione dell’effetto serra, il perché dell’azzurro del cielo (non chiedetemi il perché), la prima scalata del Weisshorn, sono invece alcune delle altre imprese di Tyndall: incantato per la prima volta da questo paesaggio, in Vallese, sopra Brig, il tredici agosto 1861. Sedici estati le passa all’hotel Belalp, qui dal 1856 e oggi rimodernato del tutto, tranne la Tyndall-Zimmer. Occupata, peccato. Eppure nessun rimpianto, non ho prenotato per viaggiare più leggero, libero d’improvvisare. Rimane un’ultima camera singola dove salgo a lasciare lo zaino e cambiarmi al volo.

Decido di colpo di andarci su a corsa al Tyndalldenkmal, indicato sul cartello con quaranta minuti e inaugurato, al tramonto, il ventisette agosto 1911. Prima però accarezzo le capre, protagoniste assolute del luogo e viziate già da due bimbe. Caprette bianche, sdraiate beate con gli occhi socchiusi da stoni, dietro l’albergo, proprio sopra l’attrazione maggiore: quel che resta del ghiacciaio dell’Aletsch. Saltellando su per il sentiero incontro presto la strana villa costruita nel 1877 per Tyndall dove trascorre, assieme alla moglie Louisa Charlotte – causa della sua morte per l’errore di dosaggio di un farmaco – le altre sedici estati della sua vita. Alla morte della moglie, novantacinquenne, nel 1940, la cui frequentazione estiva della villa con tot finestre goticizzanti è stata assidua fino all’ultimo, il nipote, Sir Richard George Proby, la riceve in eredità e nel 1964 la vende a un farmacista basilese. Spesso inutilizzata, pare, la porta però ora è spalancata. Qualcuno è in casa ma non c’è altra traccia umana intorno a questa villa battezzata a suo tempo Villa Lüsgen, come di preciso si chiama questo pezzettino di Belalp. Ribattezzata Villa Tyndall, ha il pregio di non avere recinto né giardino ma è lì selvatica come una baita tra i prati.

Il profumo d’erba d’altura si fa più persistente e definitivo con il sudore, man mano che lo sforzo avanza. La fatica acuisce i sensi, facendo brillare di più i colori dell’arnica, campanula barbata, trifoglio pratense, e altri fiorellini pelosi di montagna dei quali mi sfugge il nome. Dopo diciassette minuti, avvisto lassù, come una marmotta sull’attenti, il megalite sottile in onore di Tyndall voluto dalla moglie, forse, per placare i sensi di colpa. Nuvole nel cielo azzurro, aperto solo ora dopo la nebbia. La pietra poi scompare alla vista fino a quando non sono lì quasi davanti, un tardo pomeriggio verso la fine della prima decade di agosto. E «trasmette un senso di solitudine e dignità» come scrive Trevor Braham, alpinista e autore di Himalayan Odyssey (1974). Il monumento a Tyndall (2351 m) è un masso erratico di granito proveniente da un vallone vicino che ora si erge come menhir sopra il ghiacciaio morente. La prima iscrizione, scolpita in inglese, si legge a fatica, tra le macchioline di lichene scuro; dice «eretto per il suo amato da Louisa sua moglie per marcare un luogo di ricordi». Sotto, la dedica in tedesco del comune di Naters. Nato a Leighlinbridge, contea di Carlow, in Irlanda, e morto a Hind-head, contea inglese del Surrey, per un errore (overdose di cloralio idrato), un ulteriore errore, molto meno grave, ne scalfisce la memoria. Lo scalpellino Lorenzo Giovangrandi, nella fretta di finire in tempo il lavoro – affidatogli da Fernand Correvon (1879-1964), illustratore botanico incaricato del monumento – per l’inaugurazione con fuochi d’artificio e festa all’hotel Belalp, dimentica la c di Naturfors(c)her. Sbozzato forse un po’ per assottigliarlo in stile obelisco, a grandi caratteri, sulla parte a valle, è scolpito il nome di questo importante naturalista, alpinista, petomane, fisico, glaciologo, autore di Notes on the color of water and ice presente nella biblioteca da viaggio di Mr Tod elencata in Anatomia dell’irrequietezza di Bruce Chatwin.

Due sassi piatti sono lì per sedersi, mentre c’è anche un panorama delle montagne che si vedono da qui, con i loro nomi, tra i quali spicca il Matterhorn. Dal Cervino stesso, tra l’altro, emerge il Pic Tyndall, anticima conquistata la prima volta nel 1862 dall’uomo dietro all’effetto Tyndall (ammirato l’altro ieri a Molare, nel cielo, con le nuvole trafitte) durante la sua ascesa fallita. Monumento non monumento, eretto in alta montagna tra i fischi delle marmotte, con un refuso, non può non amarlo anche chi non ama troppo i monumenti. Corro giù a perdifiato per i pascoli della Belalp che come dice il toponimo brutta non è.