Cara Professoressa,
buongiorno, vorrei condividere con Lei questa riflessione.
Quando esco a correre, corricchiare (dato che con gli anni il fiatone è sempre più frequente) sul lungolago, mi capita di ascoltare parole delle persone che incrocio, che supero, che scanso. Giovani coppie che si fanno i selfie, anziani con il cane a passeggio, amiche ingioiellate e impellicciate sottobraccio…Le parole non m’ interessano… Magari osservo come sono vestiti, approvo mentalmente l’accostamento di colori e tessuti, faccio le solite riflessioni su chi usa la mascherina e chi no… Di questa mattina, però, ho un ricordo più forte. Una frase che mi gira in testa da quando l’ho sentita. Una bimbetta di circa cinque-sei anni e il suo papà: «papà, ma allora tutto il mondo è un videogioco!».Ho rallentato appena il tempo di sentire la risposta: «non credo…».Chissà se il dialogo fra i due si è limitato a queste due battute. Se il papà ha dato alla bambina una risposta soddisfacente (per lei). Di certo, in me quella bambina ha lasciato una domanda: come le avrei risposto io? Perché, visto con gli occhi di una bambina di cinque-sei anni, il mondo può essere davvero un videogioco. E SE AVESSE RAGIONE? Sì, bambina mia, il mondo è come un videogioco. Dove tanti personaggi si muovono, tanti paesaggi si aprono ai nostri occhi, tante cose succedono. Uno scenario bellissimo di cui noi, per un attimo, siamo le comparse. Un gioco in cui, quando tocca a noi, possiamo fare la cosa giusta o quella sbagliata, immergerci nella bellezza che ci circonda o distruggerla, amare o odiare, correre o stare fermi a guardare. E, un giorno, quando rallenteremo un po’ la nostra corsa, chiederci: chi ha in mano la consolle? Chi ha inventato il videogioco? Come finirà? Un cordiale saluto e... complimenti per la rubrica./Carlo B.
Gentile signor Carlo,
benvenuto nella «Stanza del dialogo». La sua persona è davvero esemplare: è in ottima forma fisica, nonostante si limiti a «corricchiare», e soprattutto in ottima forma psichica. Mantiene viva la curiosità per ciò che la circonda, è attento, empatico, capace di ascoltare e di interrogarsi. Chi non vorrebbe essere come lei? Certe volte gli anziani sono più giovani dei giovani. Leggendo la sua lettera viene voglia di conoscerla meglio, di saperne di più della sua vita, passata e presente. Sarebbe bello se potessimo proseguire la corrispondenza.
La sua lettera ci coinvolge nel quesito posto da una bimbetta di 5-6 anni, proprio l’età in cui i bambini osservano, riflettono e chiedono. La loro profondità di pensiero è stata rilevata da psicologi e filosofi ma, nella vita di ogni giorno, viene spesso liquidata in modo sbrigativo: «lo capirai più tardi; ma cosa vuoi saperne tu; possibile che non stai mai zitto/a?». Lei invece ha saputo cogliere l’importanza di questo scambio: una generazione chiede, un’altra si sente in dovere di rispondere, anche ammettendo i propri limiti.
Quanto a me, provo a intervenire, anche se non è facile soddisfare un bambino perché la sua domanda ne presume tante altre. Comunque credo che, sinché i contatti della ragazzina con la realtà virtuale si limiteranno ai videogiochi, il suo corpo sarà in grado di non confondere i due ambiti. Benché i programmi siano ideati da altri, da tecnici altamente specializzati, lei può operare delle scelte, vincere, perdere, decidere di smettere, padroneggiare la situazione.
La risposta quindi potrebbe anche essere: «No, tutto il mondo non è un videogioco finché tu ne resti fuori e lo controlli. Ma stai attenta, non farti incantare!».
Ciò che la fantasia infantile presagisce è il prossimo futuro, l’immersione nella sfera virtuale. La mia nipotina di 10 anni, ad esempio, ha già provato i caschi elettronici che ci trasportano in un altro mondo. Una volta indossati, sorvoliamo le Piramidi, attraversiamo la foresta tropicale, ci troviamo nel Centro di New York, pur restando nella nostra camera. Sinora lo schermo separa i due ambiti e noi torniamo a terra. Ma sarà sempre così? La domanda della piccola resta aperta. Ascoltiamola e riflettiamo insieme. Grazie del suo intervento.