All’inizio del nuovo anno, dopo 25 anni ha chiuso la libreria Odradek di via dei Banchi Vecchi 57 nel centro storico di Roma. Ne hanno dato notizia i due proprietari, non risparmiando alcune amare riflessioni: «Il problema è che sempre meno lettori entrano in libreria. Muoiono anziani e accaniti lettori e non c’è il ricambio. Le nuove generazioni non vivono più nella “civiltà della carta”. Il processo irreversibile di digitalizzazione impone a tutti un ripensamento sulle forme di accesso alla conoscenza e ai saperi che una volta venivano trasmessi esclusivamente su carta. Il libro non scomparirà, ma non è più l’unico strumento di alfabetizzazione. Lo sviluppo delle reti rende sempre più complicata la costruzione di progetti economici sostenibili intorno al Libro. Le forme della lettura cambiano velocemente e con loro anche i costumi e gli atteggiamenti nella vita quotidiana». Come non condividere queste amare osservazioni!
Ma perché quella libreria si chiamava Odradek? Cosa racchiude questo nome misterioso? Per intuire l’inquietudine implicita nelle cose, occorre riandare a un’enigmatica invenzione di Franz Kafka in un racconto del 1917, Il cruccio del padre di famiglia, in cui si parla di una specie di rocchetto di legno parlante chiamato Odradek. Ecco un frammento del racconto: «Gli uni dicono che la parola Odradek derivi dallo slavo e cercano in questo modo di rintracciare la formazione della parola. Altri invece pensano che derivi dal tedesco, e sia soltanto influenzata dallo slavo. L’incertezza di questi due pareri però lascia forse concludere a ragione che nessuno dei due sia giusto, soprattutto che con nessuno dei due si riesca a trovare un significato della parola. Naturalmente nessuno si occuperebbe di simili studi, se non ci fosse davvero un essere che si chiama Odradek. Sulle prime ha l’aspetto d'un rocchetto di spago piatto a forma di stella, e infatti sembra anche che sia rivestito di spago; certo devono essere soltanto pezzi di spago strappati, vecchi, annodati insieme, o anche pezzi di spago di colore e specie diversissimi messi insieme. Non è poi soltanto un rocchetto, ma dal centro della stella sporge un bastoncino di traverso e a questo bastoncino se ne unisce ad angolo retto un altro. Con l’aiuto di questo ultimo bastoncino da una parte e di una delle irradiazioni della stella dall’altra l'insieme può camminare diritto come sopra due gambe».
Il mistero si infittisce, quel nome di incerta origine si carica di oscuri significati: è il nome di un oggetto sconosciuto, senza radici e senza scopo che si esprime attraverso un sussurro simile a un fruscio di foglie; è un oggetto che infastidisce il padre di famiglia perché è impossibile avere con lui una conversazione. Ancora Kafka: «Del resto nemmeno queste risposte si possono sempre ottenere; spesso resta muto a lungo, come la legna cui assomiglia. Invano mi domando che cosa sarà di lui. È sottoposto a morire? Tutto ciò che muore, prima ha avuto una specie di mèta, una specie di attività, e in essa si è consumato; nel caso di Odradek questo non si avvera. È dunque destinato magari a srotolarsi giù per le scale davanti ai piedi dei miei figli e dei loro figli trascinando dello spago dietro di sé? È palese che non nuoce a nessuno; però l'idea che debba ancora sopravvivere anche a me, mi è quasi dolorosa».
Che cos’è Odradek? Che cosa rappresenta questa singolarissima figura (inserita da Borges nel Manuale di zoologia fantastica), dall’insieme assurdo ma compiuto, capace di parlare e di ridere, ma la cui risata risuona come un fruscio di foglie cadute? Una domanda legittima, spontanea, naturale, ma destinata a restare, drammaticamente, senza risposta. Forse è una divinità nascosta, forse è l’inconoscibile, forse è una macchina dei desideri irrealizzabili. Qualcuno sostiene che Odradek è semplicemente Odradek e niente di più, come Godot è semplicemente Godot e si ricordi, in tal senso, l’emblematica risposta di Beckett alla domanda sull’identità del suo non-personaggio più celebre: «Se lo sapessi, ve lo avrei detto».
Odradek, Odradek, dove ho letto la prima volta quel nome? Nel 1959, Elémire Zolla pubblica il suo saggio più famoso, Eclissi dell’intellettuale: allora non solo gli intellettuali non si erano eclissati, ma godevano di un credito assoluto oggi assolutamente inimmaginabile. Nelle pagine di quel libro parla anche di televisione: «Impercettibilmente il nostro sguardo devia, per disattenzione, verso lo schermo, e avvinto senza che se ne avveda, si posa su di esso, non perché vi sia qualcosa da osservare che non sia un’immagine quando non degradata superflua e filistea della realtà, ma perché si è indotti a rivolgere a Odradek-televisione la stolida domanda: - chi sei? -, per ottenere la stolida risposta: - Odradek -, quasi fosse un canto di sirena».
Kafka aveva previsto gli effetti della televisione? Una libreria evoca il nome di chi la soffocherà? Queste domande sono solo un fruscio di foglie cadute?