Gentile signora Silvia,
non sono solita scrivere ai giornali ma la leggo da molti anni e penso che mi può consigliare in questo momento così difficile. Sei mesi fa è morta, dopo una lunga malattia, la mia unica figlia, lasciando al marito, un’ottima persona ma lontana da casa dalla mattina alla sera per il suo lavoro, due figli di 15 e 12 anni. Mi aspettavo che tutti e due provassero lo stesso dolore per la morte della mamma che si era dedicata a loro, sino all’ultimo, anima e corpo.
Invece il primo, Marco, si è dimostrato insensibile: non ha mai pianto, non ha detto una parola di rincrescimento e, di tanti anni trascorsi insieme alla sua mamma, non ricorda niente e non ne vuol sentir parlare.
Riccardo è il suo contrario. Si è disperato, ha pianto, le ha scritto una lettera sul suo diario, mi accompagna al cimitero, mentre suo fratello si rifiuta senza una ragione, per principio. Pensi che, durante la cerimonia è uscito di chiesa e è andato a giocare al pallone.
Voglio bene a tutti e due ma le confesso che sono perplessa sul comportamento di Marco. Temo sia una persona cattiva, incapace di amare e di farsi amare. Potrebbe aiutarmi a fare chiarezza? / Una nonna in pena
Sì, cara nonna, cercherò di aiutarla per quanto possibile perché lo merita per il grave lutto che l’ha colpita e per la capacità di interrogarsi sui suoi nipoti. Solo una persona generosa come lei trova la forza di pensare agli altri piuttosto che concentrarsi su se stessa. Capisco che Marco la sconcerti perché esce dagli schemi e non si comporta come ci si attenderebbe. Ma i quindici anni sono una età difficile, quando è più pressante che mai il compito di prendere le distanze dai genitori e, in particolare, di sottrarsi all’amore materno protettivo e avvolgente per diventare se stessi.
Ma per dividersi occorre utilizzare energie aggressive perché, mentre l’amore unisce, l’odio separa. Non si tratta certo di odio distruttivo ma di una spinta vitale finalizzata alla propria emancipazione. Purtroppo, in un momento così delicato, a Marco è venuta a mancare l’altra parte, la figura materna che comprende i gesti ostili del figlio, che giustifica le risposte irritate, che corregge i comportamenti sbagliati senza colpire la persona. Il fatto che le mamme continuino, nonostante le provocazioni, ad amare e comprendere i figli adolescenti è essenziale per la fiducia in se stessi perché li convince che i loro impulsi aggressivi non sono malvagi, che non intendono distruggere l’oggetto d’amore ma solo ridimensionare un accudimento diventato eccessivo. Purtroppo, come dicevo, nel mezzo di questa tempesta evolutiva, Marco è rimasto solo e, sentendosi in colpa per certi impulsi, per certe fantasie anti-materne, ha rivolto l’aggressività contro se stesso. Il dolore c’è, ma così forte da dover essere imbrigliato nelle chiuse dell’indifferenza per paura che dilaghi sino a travolgere il cuore e la mente. Sulle differenti reazioni dei suoi nipoti influisce anche il diverso carattere: mentre il primo è un introverso, il secondo è un estroverso e su questo c’è poco da fare.
Ma non riuscire a manifestare il dolore non significa che non esista. Per secoli la cultura ha proibito agli uomini di piangere, incolpandoli di essere delle femminucce se rivelavano i loro sentimenti. Solo recentemente abbiamo cominciato a educarli a esprimere sensazioni ed emozioni. In questo senso i primogeniti sono più esposti agli stereotipi culturali in quanto si confrontano, in prima linea, con le aspettative dei genitori e con gli ideali della tradizione. I secondogeniti invece, schermati dal fratello, sono più liberi di crescere come credono, di comportarsi come preferiscono, di manifestare debolezze e fragilità.
Se riuscirà, cara nonna, a comprendere le difficoltà in cui si dibatte suo nipote senza giudicarlo e senza condannarlo, vedrà che il ragazzo sarà capace di elaborare la sofferenza secondo i suoi tempi e i suoi modi. Ho conosciuto giovani orfani, apparentemente insensibili, rivelarsi poi adulti particolarmente capaci di entrare in risonanza con gli altri, di far proprio il loro dolore e di sorreggerli.
L’importante è che Marco ritrovi, con il suo incoraggiamento, l’autostima e l’amor proprio raggelati dal lutto e che, sentendosi più sicuro, ritorni capace di amare e di essere amato.