Il Leviatano

/ 20.11.2017
di Cesare Poppi

Erano all’incirca le otto del mattino. La data il 20 novembre 1820 (esattamente 197 anni fa). Gli eventi drammatici degli ultimi due giorni di navigazione dell’Essex, baleniera di Nantucket di ventisette metri, avevano largamente ricompensato la noia di sei settimane di navigazione durante le quali si era constatato che la tradizionale zona di caccia alle balene ad Ovest dell’Ecuador era ormai esaurita. George Pollard, coi suoi 29 anni il più giovane capitano di Nantucket, aveva allora deciso di spostarsi nel Pacifico del Sud, altri 4600 chilometri di navigazione verso isole sconosciute che si diceva fossero popolate da cannibali. Giunti a destinazione la fama della baleniera come «nave fortunata» sembrava essere svanita: non un segno del prezioso cetaceo.

Capitan Pollard si era trovato l’intero equipaggio contro: il giovane Secondo Ufficiale Owen Chase, 23 anni, ne aveva interpretato lo scontento. Ma la mattina del 16 novembre la sfiatata di un cetaceo segnalava la fine del digiuno. Chase si era subito messo in caccia. Accortasi del pericolo, la balena si era inabissata: per dieci lunghi minuti l’equipaggio era rimasto immobile aspettando che la preda tornasse in superficie. Poi, improvviso, il disastro. La balena tornò sì in superficie, ma direttamente sotto la baleniera, buttandola in aria e poi facendola letteralmente a pezzi. La mattina del 20 le cose si erano ripetute: Chase aveva arpionato una balena non lontano dalla Essex, ma questa con un colpo di coda aveva sfasciato un paio di madieri costringendo Chase a tornare a bordo della nave madre per riparazioni. La baleniera di Capitan Pollard e quella del secondo ufficiale non erano state più fortunate.

Owen Chase ed il suo equipaggio erano dunque intenti a riparare la baleniera danneggiata quando dalla coffa dell’Essex si lancia un grido d’allarme: a circa mezzo miglio dalla nave giaceva immobile in superficie una gigantesca balena di 26 metri, con il capo rivolto alla nave. Mai si era visto un simile gigante starsene così apparentemente senza vita. Che fosse malato? Poi la balena si era diretta contro l’Essex. Aveva guadagnato velocità e potenza con brevi immersioni superficiali: sotto lo sguardo di un equipaggio sgomento si era scagliata contro la prua squassando la nave per poi inabissarsi. Il leviatano era tornato in superficie. Si muoveva lentamente, come se fosse intontito dall’urto con lo scafo, e finì per disporsi appena pochi metri a dritta lungo la fiancata dell’Essex – testa a prora e coda a poppa. Chase stava per affondarle un arpione nel cuore quando si rese conto che un colpo di coda della balena agonizzante avrebbe potuto sfasciare il timone in maniera irreparabile. Decise allora di attendere gli eventi. La balena nuotò lentamente via. Arrivata a cinquecento metri dalla nave si girò di nuovo verso la prua della nave. Colpito a morte l’Essex cominciò ad affondare. Chase e l’equipaggio cominciarono freneticamente ad armare l’ultima baleniera rimasta intatta. L’Essex affondò 3700 km ad Ovest dell’America meridionale. Dopo due giorni passati a salvare quanto più potevano dal naufragio, i venti uomini di equipaggio fecero vela sulle tre baleniere superstiti. Capitan Pollard voleva raggiungere le Isole Marchesi, a circa 1900 km ad ovest del punto di naufragio, ma Owen e l’equipaggio – crudele ironia della sorte – si opposero perché ritenevano che le isole fossero abitate da cannibali. Optarono così per affrontare un viaggio di 1600 km verso sud per poi finalmente incrociare i venti dell’Ovest che li avrebbero portati verso le coste americane.

Presto la fame e la sete cominciarono a farsi sentire. Poche ore dopo che i primi di loro cominciarono a morire di sete, i superstiti atterrarono all’Isola di Henderson: qui rimasero per una settimana esaurendo tutte le risorse di cibo e di acqua dell’isola. Il 27 dicembre tutti, tranne tre che sarebbero poi stati salvati quasi un anno dopo dalla nave Surry, decisero di riprendere il mare. Ma le baleniere cominciarono ad andare alla deriva e mano a mano i naufraghi cominciarono a morire. Ormai separati dai compagni, Owen Chase ed i suoi compagni decisero di non seppellire in mare uno dei loro che era morto di sete ma di tenere il corpo per nutrirsene: le Isole Marchesi avevano avuto la loro nemesi. Capitan Pollard e Ramsdell sopravvissero «rodendo le ossa di Coffin e Ray» – secondo il racconto degli stessi sopravvissuti, fino a quando la baleniera di Nantucket Dauphin li raccolse il 23 febbraio. Capitan Pollard ed il suo compagno erano praticamente impazziti.

Quando Owen Chase pubblicò un dettagliato resoconto della vicenda nel 1821, la saga dell’Essex e dei suoi sette marinai cannibalizzati diventò un immediato best-seller. Herman Melville trasse ispirazione dagli eventi da lui narrati per il suo Moby Dick. Il Capitano George Pollard tornò per mare già nel 1822, ma due naufragi delle navi che tornò a comandare (e che lui sopravvisse) gli valsero il soprannome di Capitan Jonah. Finì i suoi giorni come guardia notturna a Nantucket. Morì nel 1869 a 73 anni: si dice che tutti gli anni, il 20 novembre, si chiudesse nella sua stanza e digiunasse in memoriam.