Il Lettore di manoscritti

/ 03.10.2022
di Bruno Gambarotta

Il Lettore di manoscritti piange tutte le sue lacrime. In quarant’anni di lavoro non ha mai letto nulla di simile. E non ha mai pianto. Leggere manoscritti di autori esordienti è un secondo mestiere, praticato per integrare la pensione di professore di liceo. Con la segreta speranza di scovare un bel giorno l’opera del secolo che avrebbe consacrato non solo il suo autore ma anche il suo scopritore.

Il Nostro leggeva sul serio, dalla prima all’ultima pagina, prendendo appunti e rammaricandosi ogni volta per non essersi imbattuto nel diamante. In casa editrice gli suggerivano metodi più sbrigativi: per valutare le qualità di un vino non è necessario bere tutta la botte. Costretto a leggere storie scritte in un italiano sgangherato e approssimativo, il Nostro aveva preso l’abitudine, prima di addormentarsi, di leggere, «per sciacquarsi la bocca», un capitolo dalla Crestomazia Italiana di Leopardi. Questa volta è come se qualcuno gli avesse infilato un braccio dentro l’anima e gliel’avesse rivoltata. L’autore gli ha letto dentro e, senza conoscerlo, ha raccontato la sua vita, fin nei più minuti particolari. Come quello di far riemergere un paio di episodi avvenuti nella sua primissima infanzia, sepolti nell’oblio. Grazie a quel manoscritto la sua sterile, solitaria, grigia vita aveva preso la forma di un disegno che dava una spiegazione a tutto.

Dopo una notte trascorsa a rileggere il manoscritto, il Nostro alle otto del mattino era davanti al portone della casa editrice. Il Direttore non si presentava mai prima delle dieci; il Lettore lo attese pazientemente e quando arrivò non permise neanche che si togliesse il cappotto prima di inondarlo di parole nel tentativo di contagiarlo con il suo entusiasmo. «La conosco da molti anni», gli disse il Direttore, «non l’ho mai vista in questo stato». «Il fatto è», tornò a spiegargli il Lettore, «che questo testo è diverso da tutti gli altri, è come se mi avesse letto dentro, dando una ragione a tutti gli eventi della mia vita». «Capirai!», pensò il Direttore, «Se questo testo è come la tua vita sarà un mortorio». «Me lo lasci», gli disse il Direttore, «vedrò di dargli uno sguardo». «No!», il Lettore si sorprese a gridare. «No! Lei deve leggerlo dalla prima all’ultima pagina! E subito! Spenga il cellulare e dia ordine alla sua segretaria di non passarle telefonate». Sembrava impazzito, bisognava calmarlo: «Va bene, va bene. Farò come dice lei».

Il Lettore si congedò minacciando di tornare quello stesso pomeriggio. Il suo ritorno fu preceduto da una telefonata del Direttore. Aveva buttato l’occhio sulla prima pagina del manoscritto e ne era stato stregato, quelle pagine non raccontavano la scialba vita del suo collaboratore, ma la sua, per filo e per segno. Una vita ben altrimenti movimentata, ricca di emozioni e di svolte, costellata da due matrimoni finiti per un totale di cinque figli, innumerevoli relazioni e una storia appena iniziata che lui pensava blindata nel segreto più totale e che il misterioso Autore narrava nero su bianco con una scrittura prodigiosa. «Me lo scovi e me lo porti subito qui!», ordinò il Direttore al suo collaboratore. Il quale, gongolando di motivata soddisfazione, si recò fino a un condominio dell’estrema periferia. Si trovò di fronte un uomo anziano seduto a una tavola appoggiata a due cavalletti. Nessun computer, solo una vecchia macchina da scrivere. Occhi spiritati lo scrutarono: «La stavo aspettando», disse al Lettore senza inutili preamboli, «ce ne avete messo di tempo!». Mentre il Lettore balbettava qualche scusa, l’Autore proseguì: «L’importante è che siate arrivati. Non ho più tanto tempo davanti a me, ho compiuto ottant’anni e scrivo da quando ne avevo dieci. La vede quella montagna di fogli dietro di me? Sono quaranta mila pagine di tentativi prima di arrivare a questo risultato. Ho fretta, detesto fare l’autore postumo».

Come quei ritratti che ti seguono con lo sguardo ovunque tu vada, quell’uomo aveva scoperto la pietra filosofale della narrativa, il romanzo nel quale ogni lettore avrebbe visto specchiarsi la sua vita. Un libro che avrebbe venduto milioni di copie, tradotto in tutte le lingue. Un libro che non fu mai pubblicato. Farlo avrebbe avuto come risultato la morte di tutte le altre opere di narrativa. Nessun lettore, dopo quell’immersione totale avrebbe più sentito il bisogno di accostare un altro libro, avrebbe letto e riletto soltanto quello, l’unico capace di dare un senso alla sua vita.