Il leone spodestato da Instagram

/ 06.03.2023
di Alessandro Zanoli

«La televisiun la g’ha na forza da leun», ironizzava Jannacci nel secolo scorso. Osservando il colossale successo riportato dall’ultima edizione del festival di Sanremo in molti si sono stupiti e hanno gridato al miracolo. Finalmente la televisione può tornare a ricoprire un ruolo importante nel consesso dei media da intrattenimento, ecco il modello da seguire… «L’operazione in realtà è stata particolarmente complessa e intelligente: per costruire il palinsesto del programma si è badato a coinvolgere personalità con un larghissimo seguito sui social media, e questo è servito da traino alla trasmissione stessa. Tutto quello che accadeva sul palco, poi ha goduto di un eccezionale rilancio sui canali digitali, e soprattutto su un circuito di canali non istituzionali che fanno di Sanremo una narrazione alternativa ma vincente. Quindi si è trattato di uno spettacolo televisivo sì, ma ampiamente supportato fin dall’inizio dai social».

Questa lettura, per noi particolarmente illuminante, ce la fornisce Pablo Creti, Responsabile digitale del Dipartimento cultura e società della nostra RSI. L’azienda mediatica ticinese ha già da tempo attivato tra le sue file una sorta di task force con l’obiettivo di convogliare sui prodotti aziendali l’interesse dei giovani utilizzatori odierni. «Si tratta di un lavoro complesso. Le tendenze ci mostrano che le nuove generazioni fruiscono sempre meno o in maniera diversa dei media tradizionali, il nostro compito è quello di segnare la presenza della rete pubblica sulle principali piattaforme social, che oggi influenzano il mercato: Instagram, TikTok e Youtube». I prodotti principali dell’offerta per i giovani sul web sono tre contenitori (con i loro canali) ormai ben rodati. «Abbiamo uno spazio che apre il mattino con una serie di brevi flash informativi, Spam. Poi, tra le varie attività messe in cantiere, si è affermato nel tempo uno spazio dedicato all’umorismo, Barnum. Infine abbiamo Cult+, che propone contenuti informativi culturali con un taglio leggero e moderno». Il lavoro per questa giovane squadra è dunque di intercettare l’interesse delle giovani generazioni, quelle più abituate a nuovi formati, essenzialmente legati all’uso dello smartphone: «Ma non si tratta solo dei giovani. Basta andare una sera al grotto per rendersi conto di come tutte le persone siano collegate costantemente con i social. La piattaforma più utilizzata è sicuramente Instagram, ed è quindi anche quella su cui ci stiamo concentrando noi. TikTok ha un pubblico e un formato molto diversi che non possiamo ignorare, naturalmente, ma i dati ci mostrano come il nostro seguito sia più concentrato su Instagram».

Nel caso dei nuovi media, Creti ci conferma che la battaglia dell’audience è un problema quotidiano. «Il sistema di conteggio dell’audience è praticamente istantaneo e impietoso. Se un contenuto funziona, lo si vede subito, e curiosamente notiamo delle tendenze del tutto imprevedibili. Ad esempio abbiamo scoperto che seguendo alcuni trend riusciamo a ottenere interazioni altissime. Ma è sempre un terno al lotto con gli algoritmi dei social di cui conosciamo fino a un certo punto i meccanismi, può funzionare o non funzionare. Inoltre si finisce per essere tentati di usare una modalità “acchiappa like” per catturare follower, ma sarebbe limitativo, noioso e non da servizio pubblico. Il nostro obiettivo è trovare sempre nuovi stimoli per suscitare interesse».

Un settore che sembra avere la capacità di attrarre l’attenzione è quello «locale». «I nostri utenti seguono naturalmente quello che succede nella nostra regione, ma bisogna dire che col passare del tempo e con l’aumento del numero di giovani utenti anche i temi internazionali sono seguiti. Oggi, nell’epoca dei social network, i media di servizio pubblico devono reinterpretare il loro ruolo di traduttori locali di informazioni che vengono da altre parti del mondo. I giovani ormai capiscono l’inglese e sanno come andare a raccogliere informazioni direttamente. Questo rende in qualche modo più difficile il nostro lavoro, perché dobbiamo saper pensare in modo “glocale”, una parola che non mi piace molto ma che rispecchia l’ottica che dobbiamo assumere».