Il lavoro che non manca

/ 18.07.2022
di Lina Bertola

Voli cancellati per mancanza di personale; mancanza di personale nella ristorazione; in Svizzera mancano i bagnini. Così alcuni titoli letti negli ultimi tempi.

Della questione si occupano economisti e politici. Si ragiona attorno agli effetti dei licenziamenti legati alla pandemia, al peggioramento delle condizioni di occupazione o, ancora, si riflette sul tema dei salari non sempre adeguati. Queste chiavi interpretative possono felicemente coniugarsi anche con una lettura dal respiro più ampio, che vada alle radici storiche e culturali del significato stesso del lavoro.

C’è sempre anche una percezione soggettiva dell’esperienza lavorativa, del suo valore esistenziale; c’è sempre un vissuto personale del proprio agire non riducibile al solo valore economico del proprio fare. Allargare lo sguardo significa cercare di comprendere il senso del lavoro, e le sue attuali trasformazioni, allo specchio dei valori della nostra civiltà.

Approdi e derive della nostra cultura possono essere intercettati anche alla luce del significato che questa parola ha assunto nel corso del tempo. Attorno al concetto di lavoro, nelle varie epoche, si è infatti costituito un orizzonte di senso, un ordine di valori e di significati in cui esprimere la nostra identità, in cui trovare risposte a quel conosci te stesso che sempre interpella ciascuno di noi.

Questo sguardo storico-filosofico, accanto alle spiegazioni di natura economica e politica, può aiutarci a riflettere su possibili trasformazioni identitarie, sul manifestarsi del senso della vita in forme inedite, e forse inattese, che potrebbero mettere in discussione un valore ben radicato nella nostra cultura. La modernità ha infatti concepito il lavoro come un valore fondamentale dell’esistenza; lo ha pensato e rappresentato come luogo privilegiato per l’espressione della natura umana. Ma non è stato sempre così. Nel mondo antico, all’esercizio di attività lavorative non era riconosciuta particolare valenza positiva.

Questa visione emerge bene nel pensiero di Aristotele: la vera realizzazione della natura umana non è nell’azione pratica, strumentale, ma nell’agire etico e politico e soprattutto nella conoscenza contemplativa. Il valore anche di atteggiamenti non contemplativi nei confronti della natura trova invece riconoscimento nel cristianesimo, basti pensare alle regole monastiche in cui il lavoro acquisisce dignità spirituale. Ora et labora: il lavoro disciplina la vita in vista della salvezza. La completa valorizzazione del lavoro, non solo come mezzo per una vita buona, ma come piena realizzazione della natura umana, si compie tuttavia in epoca moderna. Nella costruzione di una nuova visione del mondo, che pone al centro il lavoro, si sono intrecciate diverse prospettive.

La prima nasce dalla rivoluzione scientifica: la conoscenza oggettiva della natura offrirà all’uomo la possibilità di imparare a dominarla. È la visione di Bacone da cui il valore del lavoro come capacità di sfruttare le risorse naturali. Un altro aspetto è legato al bisogno di legittimare la proprietà privata. Nel suo secondo Trattato sul governo, il filosofo John Locke lo dice esplicitamente: il lavoro fonda il diritto alla proprietà. A livello identitario ciò comporta il pieno riconoscimento del valore dell’individuo; un valore che sarà ulteriormente rinforzato nell’etica illuminista. Poi c’è la potente costruzione filosofica di Hegel che fa del lavoro il luogo fondamentale di mediazione tra uomo e natura. Da questa visione del lavoro prende le mosse Marx per denunciarne il tradimento: è il concetto, per certi versi ancora attuale, di lavoro alienato. Attuale soprattutto perché spesso nel lavoro non riusciamo più a riconoscere gli ideali della modernità.

Dallo sfruttamento delle risorse naturali al sogno transumano di immortalità il passo è breve; così come breve è stato il passaggio dall’etica dell’individuo all’individualismo di mobbing e competizione. Insomma, c’è di che non più riconoscersi nel proprio lavoro. Alcune indagini sociologiche, soprattutto in Francia, lo stanno confermando: spesso si vive uno scollamento tra il suo significato economico e il suo significato esistenziale. E allora qualcuno può anche arrivare a pensare: perché lavorare per portare avanti un mondo in cui non ci riconosciamo più?