Il lago di Chavonnes

/ 19.08.2019
di Oliver Scharpf

Ai bordi del lago di Chavonnes, sul territorio del comune di Ormont-Dessous, viveva un drago bianco come la neve. Terrore di tutti gli uccellini, quando invece si avvicinava alla riva qualche fanciulla, accorreva con gli occhi dolci nuotando verso di loro. Superbo da vedere mentre avanzava sull’acqua agitando le sue lunghe ali, mangiava mansueto dalle loro mani. Galante, le ringraziava del cibo offerto, esibendosi in graziose piroette. Poi, d’un tratto, compiva un guizzo in aria e s’immergeva sparendo a ogni sguardo. Vedo dei giovani fare il bagno nel lago di Chavonnes (1692 m), appena raggiunto attraverso un’agile camminata di venti minuti dal Col de Bretaye, a diciotto minuti di trenino a cremagliera da Villars-sur-Ollon. Nell’acqua verdastra smeraldo, circondata da pinete scure, nuotano anche molte trote. La bonarietà del drago bianco, incontrato per la prima volta dodici anni fa tra le pagine di una delle Légendes des alpes vaudoises (1885) di Alfred Cérésole, viene ribadita, contrapponendolo ai molti malefici rettili alati di altre leggende, da Maria Savi-Lopez. In Leggende delle Alpi (1889), l’illustre folclorista italiana si chiede se nel drago bianco «così mite e bello» di questo lago alpino, la fantasia popolare non vedesse magari nascosto un principe dannato in attesa della parola magica per sciogliere l’incantesimo.

Rievocando poi i draghi del folklore bulgaro che volano sulle foreste le cui altissime cime degli alberi, tra le quali ondeggiano le loro criniere bianche, senza soffio di vento alcuno si piegano per riverenza. E come non ricordare Falkor allora? Indimenticato drago rosa-panna tipo peluche dal volto canino cavalcato da Atreyu nella Storia infinita (1984). Un brutto pedalò di plastica non riesce a scalfire la bellezza del luogo, non mozzafiato come il lago blu di Arolla o quello turchese caraibico di Cauma ma dove l’acqua «it’s just perfect» come esclama una ragazza per invogliare la sua amica titubante. E non esagera, ha perfettamente ragione: fredda al punto giusto, rigenerante. Una benedizione dopo il non breve viaggio in una calda giornata di agosto inoltrato. Nuoto come non nuotavo da tempo, una nuotata liberatoria fino in mezzo al lago. Un’altra leggenda, trovata sempre tra le pagine ingiallite e odorose dell’antico librone rilegato in tela rossa di Cérésole – sul cui dorso, venati d’oro, ci sono dei rami di pino e pigne – illustrato splendidamente da Eugène Burnand, racconta che in mezzo al lago, sul fondo, c’è un tesoro. Gettato da Isabeau de Pontverre fuggita in tempo dal castello di Aigremont, dato alle fiamme da «bande vallesane». Un forziere di ferro con gioielli e monete d’oro riposa ancora in fondo al lago che alla fine attraverso tutto, approdando alla riva dove c’è un prato scosceso profumato dalle pinete delle alpi vodesi. Al limitare di questi boschi, si aggira ancora inquieta le notti di luna piena, la bella Isabeau trasformata in fata. Per ora si nota solo una tenda da campeggio. Mi sdraio sull’erba, nel sole di un pomeriggo estivo al lago che contiene in sé già quasi il preludio, anzitempo come un presagio, di quella dolce malinconia da fine estate. Ceno qui, al ristorante in riva al lago di Chavonnes, con trota alla griglia e torta di mirtilli da non morire mai. Un’acquazzone accompagna la mia dormita ancestrale in una delle camere spartane sopra il ristorante-chalet. Prima di colazione, verso le otto, esco a fare il giro del lago sotto una pioggerella. È salita una leggera bruma ad avvolgere il paesaggio. Non c’è più nessuno, a parte tre pescatori di trote. M’incammino verso le rocce sotto la falesia, un tratto di costa inesplorato ieri dove spero di trovare la pirite. L’oro degli stolti che si presenta in natura in cristalli cubici, pentagonododecaedrici, ottaedri. Utilizzata in cristalloterapia per dipanare i conflitti interiori e superare l’indecisione, il suo scintillìo sembra aver generato la leggenda del tesoro mai trovato. «Le Nouvelliste» del diciannove agosto 1928 riporta solo la notizia che è stato ripescato il corpo del boy scout inglese annegato qui. Avevo anche letto da qualche parte qualcosa a proposito di un cadavere di donna ritrovato nel bosco e di un menhir celtico, ma non c’è verso di ritrovare la fonte; me lo sarò sognato o forse avrò confuso con un altro luogo simile. Nessuna traccia di pirite incastonata nelle tormentate rocce-scogli, solo resti di fuoco e il ticchettìo di pioggia sopra una specie di iurta improvvisata su una lingua fangosa di spiaggia dove ci sono tracce bovine.

Rivolgo lo sguardo al lago che riflette il contorno frastagliato delle pinete. Il drago bianco raffigurato in una xilografia da Eugène Burnard – noto per il dipinto I discepoli Pietro e Giovanni correndo al sepolcro il mattino della resurrezione (1898) esposto in permanenza al Musée d’Orsay –con la testa semisommersa simile quasi a quella di un ippopotamo, si nasconde bene. Invisibile come il mostro di Loch Ness o la moglie del tenente Colombo.