Il lago Blu di Arolla

/ 05.08.2019
di Oliver Scharpf

Parto di buon’ora dal Grand Hôtel & Kurhaus di Arolla, dal 1896 nascosto in mezzo ai larici e al cospetto di una cembreta ultracentenaria a 2068 metri di altitudine. Dove la sera della vigilia di Natale del 1968 ha cantato e ballato Joséphine Baker, ospite lì con i suoi tredici figli adottivi. E la vista sulle montagne, tra le quali l’Aiguille de la Tsa e il Mont Collon con la sua coltre di neve eterna in bilico, dalle camere economiche sotto il tetto, è quasi da non crederci. Ma è camminare tra i cembri secolari e odorosi, sopra i quali fanno capolino le lingue di ghiacciaio illuminate dal primo sole, a essere forse esperienza fondativa. Non a caso questa località di cinquantacinque anime in cima alla Val d’Arolla, incontaminata diramazione destra alla fine della Val d’Hérens, trae il toponimo dai cembri. Arolles in francese.

Saucisson, formaggio, pane, albicocche: all’épicerie trovo tutto in un attimo. Zaino in spalla e via, verso il lac Bleu. «La più rimarchevole delle curiosità della Val d’Hérens» secondo il botanico Ferdinand Otto Wolf e il pastore protestante Alfred Cérésole, autori di Valais et Chamonix (1889), guida di settecentocinquantanove pagine dal Furka al Lemano. Oltre al blu particolare dal quale prende il nome questo laghetto alpino, la limpidezza, a quanto pare, è ineguagliabile. Studiata a fondo da François-Alphonse Forel (1841-1912) – il papà della limnologia incrociato di sfuggita per via del blu della grotta nel ghiacciaio del Rodano un mese fa – nell’agosto 1887.

Centotrentadue anni dopo, alle otto e mezza di un bel mattino di agosto, uno scoiattolo si arrampica rapido su un larice. Tra i sassi, spunta il rosa shocking del Sempervivum arachnoideum che mi fa venire in mente i tailleur della regina Elisabetta. Elegante, estroso e al contempo introverso, sorprende sempre il giglio martagone. Dopo una mezzora buona di cammino spensierato in discesa nel bosco, risalgono a galla «senza un perché» come canta Nada, episodi di vita dimenticati da tempo. Camminare, lo sanno anche i sassi, rimette in ordine l’anima. In località Pramousse incontro una ragazza con il suo husky espansivo di nome Pensacola. Ora il sentiero sale tra i Larix decidua che sembrano prevalere sui Pinus cembra, le due conifere che si spartiscono qui le foreste. La fatica libera endorfine, provocando una lieve beatitudine. Un lariceto puro mi riempe di venerazione. In alto, guardando giù a valle, spicca lo strambo Dent de Satarma. Dente di metabasalto dal microtoponimo demoniaco che dovrebbe però derivare dalle sette anime, in patois, di una leggenda.

Un macaone si posa su un’imprecisata ombrellifera, supero un ruscello scalmanato, risalgo tra i larici ariosi. Nei prati ammiro l’umile e spavalda nigritella, orchidea montana di estrema bellezza e profumo di cioccolato e vaniglia. E così, dopo quasi due ore di passeggiata, alle dieci e un quarto ecco lì il lago Blu di Arolla (2090m) ai primi di agosto. Il blu è un blu turchese splendente. Dicono sia il risultato dell’azione congiunta di microalghe e argille glaciali. Impressiona ancora di più del colore, la sua trasparenza, una limpidezza mai vista, vedi il fondale. Mi siedo all’ombra di un venerabile larice e faccio un caffè. Accendo un fuoco – con pezzettini di corteccia resinosa trovati per terra, licheni secchi, aghi – in un aggeggio di acciaio inox chiamato bush buddy, e metto su la moka. Alimento il fuoco con riccioli di legno ottenuti, con il coltellino, dal ramo da passeggio e in pochi minuti il caffè esce piano. Caffè cowboy: migliore che a casa.

Due ragazzi entrano in acqua ma escono subito urlando, il terzo rinuncia. Metto dentro i piedi e pur essendo allenato dall’acqua dei pozzoni valmaggesi, il freddo è insostenibile ed esco. Devo però entrare, cerco di abituare i piedi, va meglio. Entro in acqua fino al collo, tre secondi, già un’impresa. È ghiacciata, subito su un sasso, al sole. Nel frattempo sono arrivati diversi camminatori e si godono il meritato pranzo al sacco. Torno sotto il larice dove mi aspettano il pane vallesano alla segale con noci, formaggio di Les Haudères – villaggio a quattro ore a piedi da qui, frazione di Evolène come Arolla – e il saucisson de bœuf race d’Hérens. Antichissima razzasimbolo della valle, tutta nera, conosciuta per i combattimenti delle vacche regine e che sale tranquilla a pascolare fino a tremila metri. Non ne ho ancora vista una, solo sentito dalla finestra spalancata ieri sera, il loro scampanio soporifero. L’emerito limnologo Forel nato a Morges e morto a Morges, autore di una monografia monumentale sul Lemano, secondo i suoi esperimenti con il disco di Secchi, afferma che la limpidezza del lago blu di Arolla supera tutti i dati degli studi precedenti, effettuati da altri scienziati, a proposito dello straordinario lago Tahoe, al confine tra Nevada e California.

«Fino a nuovo avviso è l’acqua la più trasparente che conosciamo» lessero nell’autunno del 1887 i lettori della «Gazette di Lausanne». Di acqua sotto i ponti ne è passata, ma quell’antica notizia, posso dirvi che è ancora miracolosamente attuale. Adesso è tempo di studiare la dolcezza delle albicocche del Vallese.