Il «quattro a uno» del Lugano sul San Gallo è passato agli archivi. La Coppa svizzera è in bacheca. Rimane il gusto lungo delle emozioni intense di un’indimenticabile domenica di primavera. Quelle di diecimila ticinesi che si sono recati a Berna. Quelle di molti altri che hanno vibrato a casa o in Piazza della Riforma. Ho scritto ticinesi, anche se la stragrande maggioranza di loro aveva in petto un cuore bianconero, che batteva all’unisono con quello degli undici ragazzi in campo. Ma si è avuta la sensazione che, forse per la prima volta, a livello cardiaco ci fosse qualche anomalia. Qualche macchiolina disseminata qua e là. Nulla di preoccupante, anzi! Sul treno, per strada, allo stadio del Wankdorf, c’erano anche parecchi sostenitori delle altre squadre cantonali. Ho assistito all’incontro casuale tra due tifosi normalmente schierati su un’altra sponda calcistica. Dopo un primo istante di comprensibile imbarazzo, uno di loro ha spezzato il silenzio: «Incö sem tücc insema. Dai che la portum a cà». Dentro queste parole c’era la frustrazione per il fatto che al Ticino, un trofeo così importante, nel calcio, mancava da 29 anni. Ma anche la consapevolezza che l’occasione per ripartire era lì da cogliere.
Nel nostro cantone abbiamo dei grandi campioni individuali, non li sto nemmeno a citare. Ma chi trionfa da solo è figlio di sé stesso. Del suo talento, dei suoi geni, della sua determinazione, magari anche del caso che ha creato le condizioni giuste nel momento giusto. Negli sport di squadra si suona un’altra musica. La partitura è più complessa. Il Football Club Lugano ha trionfato in un mondo in cui, da alcuni decenni, si sta riducendo il posto per i cosiddetti «parenti poveri».
Fino a pochi anni fa, le imprese riuscivano ai cugini bianco-giallo-neri dell’HC Lugano, oggi costretti a lottare ad armi impari contro società finanziariamente più robuste. Per queste ragioni il percorso intrapreso dai ragazzi del «Crus» deve fungere da esempio. A volte le vicende sportive hanno una valenza che supera il mero aspetto agonistico. Secondo i titoli di alcune testate giornalistiche «il Lugano ha riscritto la storia». Può sembrare iperbolico a chi tende a sottovalutare o a snobbare il fenomeno sportivo. Ma in fondo c’è del vero.
La storia insegna. Gino Bartali, vincendo il Tour de France del 1948, evitò che si aprisse una profonda crisi politica in seguito all’attentato perpetrato ai danni di Palmiro Togliatti, leader del Partito Comunista Italiano. Mezzo secolo fa, una semplice partita di ping pong riuscì a stemperare la tensione politica tra Cina e Stati Uniti. La vittoria del Lugano in Coppa Svizzera non ambisce alle prime pagine dei media internazionali. Tuttavia, nel nostro piccolo, grazie a questa conquista, oggi, ci sentiamo, più vicini ai nostri Confederati d’Oltralpe.
È ora di «guardare avanti senza voltarsi mai». Il pensiero corre al Vallese, dove Sierre, Martigny e Briga, demograficamente ricordano Locarno, Mendrisio, e Bellinzona prima dell’aggregazione, e dove Visp ha lo stesso numero di abitanti di Chiasso. Ebbene, da loro «calcio» si scrive «Sion». Da noi si lotta allo sfinimento all’ombra dei campanili. La via è però tracciata. Non si scappa. Nell’élite del calcio nazionale c’è e ci sarà posto per una sola società ticinese. Oggi si chiama FC Lugano, in virtù di una selezione naturale dalla quale è emersa la struttura obiettivamente più solida. Domani potrebbe chiamarsi FC Ticino, in virtù di un’eventuale intesa fra le parti. Sono pronto a essere smentito, ma sono convinto che la prima opzione continuerà ad avere il sopravvento.
L’importante è che nell’immediato futuro, chi reggerà le sorti dei Bianconeri sia cosciente del fatto che lo sport non è, e non deve essere, come sosteneva George Orwell, «una guerra senza spari». Tuttavia, come rituale identitario, possiede una forza devastante. Nel bene e nel male. Il clima di festa che si è respirato prima, durante, e dopo la finale di Coppa dovrebbe penetrare nel DNA di chi l’ha vissuto. Affinché diventi virale.
Società nuova, stadio nuovo, rinnovato entusiasmo dovranno essere un’opportunità per stare bene insieme. Ne abbiamo bisogno. Il Crus, e il suo alter ego Cao Ortelli ne sono consapevoli. Saranno loro i primi garanti. Con i loro ragazzi faranno di tutto affinché ciò avvenga.