È ripartito il Salone del Vino. Il giovane Aurelio mi scrive una mail: «Gentile signor Bruno. L’ho vista al Salone del Vino e l’ho seguita a lungo mentre visitava uno stand dietro l’altro poiché desideravo parlarle. Ma la mia timidezza ha avuto il sopravvento perché lei non ha smesso per un solo istante di degustare i vini di tutte le regioni. Perciò mi sono risolto a scriverle. Sono un giovane di belle speranze. In particolare, come dicono in America, I have a dream, nutro un sogno, quello di vedere un giorno il mio nome sull’etichetta di un vino piemontese di prima qualità. Cosa mi consiglia per raggiungere questo traguardo?».
Caro Aurelio, è vero, ho fatto qualche assaggio per senso del dovere poiché i produttori di vino sono delle brave persone ma molto permalose. Tu ambisci a entrare nell’esclusivo club dei mitici produttori che con i loro trionfi svettano nelle classifiche. L’impresa si presenta ardua. Ti spiego: qui in Piemonte nessuno vende niente, chi ha le vigne se le tiene, si mormora di valutazioni per ettaro tali che solo il padrone di Amazon potrebbe permettersi. Un possibile percorso ci sarebbe per raggiungere il tuo scopo, grazie a uno strano fenomeno che, a quanto mi risulta, nessuno ha ancora studiato a fondo. Devi sapere che i grandi produttori di vino delle nostre parti hanno tutti figlie femmine. Solo femmine. È strano, ma è così. Forse gli effluvi che si respirano nelle cantine, il rovere delle botti e delle barriques. Queste figlie sono destinate prima o poi a prendere le redini del comando. Dove il passaggio è già avvenuto si notano miglioramenti vistosi, cantine ordinate e pulite, etichette che sono piccoli capolavori di grafica. Ho avuto occasione di conoscere molte di queste giovani donne, sono belle e spigliate. La strada maestra è quella di sposare una di loro. Non credere che per conquistarle basti fare la ruota, ballare il tango ed essere coperto di tatuaggi. No, devi metterti in luce dimostrando talento e buona volontà. Il settore dove puoi dare prova delle tue capacità è quello della promozione e della vendita. Lì, nonostante i grandi progressi conseguiti, c’è ancora spazio. Puoi fare l’americano.
Quando «La Repubblica» aprì una redazione a Torino mi proposero di collaborare. Il capo redattore sentì che conversavo in piemontese (la mia lingua materna) con un’impiegata e mi propose di fare un giro per Langhe e Monferrato a raccogliere dalla viva voce dei produttori le loro previsioni sull’andamento dell’imminente vendemmia. Vissuto sempre in grandi città, non poteva sapere che per scaramanzia nessuno di loro si sarebbe mai azzardato a farle. Dai vari parroci ho ottenuto qualche anticipazione, dopo aver giurato che non avrei rivelato la fonte. Una sola eccezione: il più grande e ambizioso produttore di barbaresco. Costui mi fa entrare nella grande aia dello stabilimento e mi indica un giovanotto vestito da città che in piedi sul versante opposto osserva il panorama. «Lo vede quello laggiù?» mi domanda il produttore. Al mio cenno affermativo continua: «È un americano arrivato ieri da Chicago, ha tirato fuori il libretto degli assegni. Voglio comprare tutta la sua produzione, scriva lei la cifra». E io, pieno di stupore e di ammirazione: «E lei gliel’ha venduta». «Neanche per sogno, ho tanti clienti da soddisfare. Dovrà accontentarsi di qualche bottiglia».
L’episodio era perfetto per l’incipit del mio articolo, lodato dal capo servizio. Che l’anno dopo mi rimanda a fare il giro delle profezie vinicole. Il re del barbaresco mi fa entrare nell’aia e mi indica un giovane uomo laggiù sul fondo: «Lo vede quello laggiù?» mi domanda, ecc. ecc. Si era scordato che mi aveva già fatto quel numero. Avrà convocato un suo dipendente: «Sta arrivando il solito pirla, mettiti la giacca e vai a fare l’americano». Da quelle parti sono dei maghi nel campo della promozione, ma, secondo me, c’è ancora spazio per un giovane creativo. Puoi proporre e lanciare nuovi usi di quei vini per i quali c’è un’eccedenza di produzione. Il moscato per esempio. Ti regalo un’idea. Pare che in Francia gli appassionati paghino per avere il privilegio di vendemmiare. Gli fanno poi credere che il vino ricavato dalle uve da loro vendemmiate è proprio quello contenuto nelle bottiglie con il loro nome sull’etichetta e così glielo fanno pagare due volte. Penso che i milanesi sarebbero felici di farsi torchiare. Auguri, caro Aurelio, verrò al tuo matrimonio, se mi inviti. Tuo Bruno.