Le sventure (guerre, carestie, alluvioni, terremoti) hanno il «pregio» – forse l’unico – di farci riscoprire la geografia, la storia, la letteratura dei paesi martoriati: Afghanistan, Yemen, Libia, Siria e ora l’Ucraina, per limitarci agli ultimi di una lunga lista, nota solo in parte perché molte zone di crisi (è il caso dell’Africa subsahariana) non finiscono sotto i riflettori dell’informazione occidentale. Nel caso del conflitto Russia-Ucraina ha destato sorpresa e meraviglia che nella fascia nord-orientale dell’Europa fino agli Urali potesse nascere e svilupparsi una cultura politica contraria ai princìpi della liberal-democrazia, l’ordinamento prevalente negli Stati aderenti all’Ue. Eppure è accaduto, bastava leggere le carte, ascoltare le dichiarazioni, captare i segnali provenienti dal Cremlino. Occorreva, soprattutto, andare alle fonti, consultare i testi che hanno fatto la storia di questo immenso paese-continente che è la Federazione russa, prendere sul serio quanto vanno scrivendo da tempo gli ideologi del «neozar» Putin. Per esempio Aleksandr Dugin, probabilmente il teorico più influente e prolifico del «nazional-bolscevismo» (molti suoi interventi sono disponibili anche in italiano). Non c’è nulla di enigmatico nelle sue pagine, anzi il dettato è chiaro: «il progetto culturale e politico dell’Eurasia si pone come spazio geopolitico di civiltà, tradizioni, religioni, che convivono e si realizzano a difesa delle identità e del comune destino al progresso totalitario dell’occidentalizzazione». Liberalismo e atlantismo – progetti guidati da Usa e Gran Bretagna – sono incompatibili con la visione euroasiatica del mondo.
Fino all’altrieri è invece rimasto nell’ombra un altro pensatore elevato da Putin a padre spirituale della grande Russia: Ivan Il’in. Nato a Mosca nel 1883, Il’in fu espulso da Lenin da Pietrogrado assieme a un nutrito gruppo di intellettuali antibolscevici (definiti «controrivoluzionari») nel 1922. Imbarcato su un piroscafo tedesco, soggiornò dapprima a Berlino e poi, dal 1938, a Zollikon presso Zurigo, dove scrisse la maggior parte dei suoi saggi e dove si spense nel 1954. A differenza di un altro illustre esule presente sulla «nave dei filosofi», ossia Nikolaj Berdjaev, la cui opera è invece molto nota anche al pubblico italofono, Il’in non ebbe fortuna. Le cose iniziarono a cambiare dopo il collasso dell’Unione Sovietica. Da quel momento in poi ripresero a circolare libri come I nostri compiti, in cui l’autore esponeva le sue idee sulla strada che la Russia avrebbe dovuto imboccare dopo il tramonto del comunismo. Quattro anni fa uno studioso dell’Europa orientale, Timothy Snyder, ha dedicato un intero capitolo a questa figura (La paura e la ragione, Rizzoli, 1998). Ammiratore di Hitler ma soprattutto di Mussolini, Il’in riteneva che solo un uomo forte, scelto da Dio, potesse guidare quello sterminato territorio verso la redenzione. «Scrivendo – osserva Snyder – mette la parola “ucraini” tra virgolette perché nega la loro esistenza al di fuori dell’organismo russo. Parlare dell’Ucraina equivale ad essere nemici mortali della Russia».
L’esule moscovita fu ovviamente sottoposto a sorveglianza da parte delle autorità elvetiche. Gli archivi federali conservano numerose informative sulle sue attività di pubblicista e oratore. Così la polizia del canton Soletta riferisce di una conferenza tenuta nel marzo del 1944 a Schönenwerd. L’informatore riferisce che Il’in ha affrontato il tema della Russia post-ottocentesca, esprimendosi in un ottimo tedesco. Curiosamente, sottolinea la spia, il relatore non si è addentrato nelle questioni politiche d’attualità; ha preferito concentrarsi sull’anima dei russi, un popolo rimasto per secoli arretrato, con un alto tasso di analfabetismo, e tuttavia fiero, di forte tempra e carattere. Il russo, figlio della natura e della passione, amante della libertà e spirito indipendente, è un combattente indomito. La durezza del clima è all’origine della sua accanita tenacia e della sua resistenza.
In un’altra scheda conservata negli archivi si può leggere che un suo testo, Il mondo sull’orlo dell’abisso, è stato adottato in tutti i corsi di formazione nazista, anche in Svizzera. È in buone relazioni con Göbbels ed è sospettato di essere un agente della Gestapo. Il’in trascorse in terra elvetica sedici anni (Lenin, agli inizi del secolo, poco più di sei). Due rivoluzionari collocati su sponde opposte maturarono i loro progetti nella quiete elvetica. Nel 2005 Putin fece traslare i resti del suo ispiratore da Zollikon a Mosca, allestendo una ri-sepoltura con tutti gli onori. Su quella tomba avrebbe preso avvio il cammino della nuova Russia post-sovietica.