Il femminismo: una conquista del 68?

/ 14.05.2018
di Luciana Caglio

Abbattere le barriere dell’autoritarismo nelle scuole, in famiglia, sul posto di lavoro. Svecchiare la cultura aprendola ad altre forme creative. Abolire i codici che impongono regole di comportamento, dal vestiario al linguaggio. Allargare lo spazio di libertà a disposizione del cittadino. Meno ufficialità, più spontaneità. Sono gli obiettivi, effettivamente raggiunti da quel chiacchierato 68, di cui, in questi giorni, si sta celebrando il cinquantesimo, con un risalto, anche nei nostri media, che supera l’attenzione, solitamente concessa a una rievocazione storica. È che, questa volta, la ricorrenza ci tocca da vicino, concerne un’esperienza di vita, condivisa anche in Ticino. L’episodio è risaputo: nell’aula 20 delle Magistrali a Locarno, un gruppo di studenti osò sfidare «il sistema» presentando una lista di 10 richieste, a prima vista sovversive, poi in parte accolte. Allora, per l’opinione pubblica, furono fatti sconcertanti, se non addirittura pericolosi. Adesso, si presentano nella versione lusinghiera che caratterizza le rivisitazioni del passato, improntate alla nostalgia, sentimento vago, che, non di rado, deforma la realtà storica. Tanto che a questo 68 si attribuiscono, ormai, meriti sproporzionati e persino false conquiste, cioè appropriazioni indebite.

Il caso più flagrante, oggetto di malintesi ancora da smentire, riguarda appunto, il femminismo che, sia chiaro, con la rivolta studentesca, nata nel campus universitario di Berkeley, cresciuta alla Sorbona e dilagata nelle piazze delle metropoli occidentali, ebbe ben poco da spartire. In quei mitici anni 60, la parità dei diritti politici era un fatto acquisito, in quasi tutti i paesi democratici. In alcuni, come in Nuova Zelanda, in USA (Wyoming, Utah, Colorado), in Finlandia, aveva addirittura alle spalle più di un secolo di vita. Fu, poi, sotto l’urto della prima e della seconda guerra mondiale che il suffragio femminile si diffuse praticamente in tutte le democrazie. Ed era, ovunque, il frutto di scontri e di concertazioni fra partiti, associazioni, gruppi di potere. Come dire nel rispetto delle regole istituzionali.

Ora, in questo panorama spicca proprio la Svizzera, che, lungo il percorso verso la parità, accumulò un ritardo imperdonabile e assurdo, vittima, si fa per dire, della democrazia diretta. Con ciò, la causa femminista riuscì a imporsi sul piano politico e culturale, innescando un interminabile dibattito, sin dagli inizi del XX secolo. Il 28 gennaio 1909, nasce a Ginevra l’Associazione nazionale per il suffragio femminile, presieduta da Auguste De Morsier, giurista, animato «dal sentimento cristiano delle responsabilità verso la donna che sarà schiava o libera e autonoma come l’uomo grazie a leggi uguali». Il tema della parità divide e unisce, anche all’interno dei partiti. I detrattori sono, ovviamente, più numerosi nelle schiere degli «Agrari, artigiani e borghesi» (oggi UDC), ma si ritrovano anche fra liberali, conservatori e, tacitamente, fra i socialisti. La suffragetta è un’immagine negativa, addirittura il simbolo della «distruzione della famiglia». Del resto, neppure tutte le donne sostengono l’esigenza. Nel 1966, si costituisce in Ticino un «Comitato d’azione della lega femminile contro il voto alla donna», che diffonde un bollettino anonimo. Come anonimi sono i messaggi e le telefonate che arrivano anche alla redazione di questo settimanale. Schierato da sempre a favore del suffragio femminile, di cui Gottlieb Duttweiler era stato un efficiente promotore a Palazzo federale.

Tutto ciò per ribadire che, sia pure a rilento e fra contraddizioni, il femminismo rappresenta un classico del repertorio delle nostre vicende politiche e sociali. Con un happy end, maturato secondo le regole del sistema. Senza dubbio, a sua volta, il 68 ha giocato un ruolo, attraverso esibizioni spettacolari, tipo lancio del reggiseno, che comunque non potevano incidere sulle sorti delle donne nella quotidianità. Del resto, a occupare la scena internazionale erano tutti personaggi maschili: sulle barricate Daniel Cohn-Bendit, Rudi Dutschke, Mario Capanna, Adriano Sofri, Franco Piperno, e dietro le quinte intellettuali come Asor Rosa, Giangiacomo Feltrinelli, Toni Negri, ecc. L’elenco sarebbe lungo e dovrebbe includere i fiancheggiatori che, nel Ticino, animarono una stagione suggestiva nel tran tran locale. Erano giovani, magari di buona famiglia, ma, sempre di sesso maschile, insomma i protagonisti, mentre le ragazze seguivano, come obbedienti compagne. Alla faccia del femminismo.