È notizia di questi giorni. Dopo 84 anni di attività lo storico marchio giapponese Olympus non farà più fotocamere. Tra le motivazioni, la concorrenza delle sempre più prestanti fotocamere integrate nei nostri smartphone. Per fortuna ci sono altri brand che continueranno a produrle ma questa notizia una volta di più ci fa prendere coscienza di come la tecnologia cambi le nostre vite, sposti i nostri punti di riferimento e solleciti la nostra attenzione.
Ci ricorda anche come alcuni oggetti abbiano accompagnato le nostre vite per anni e un bel giorno hanno smesso di esistere. Pensiamo soltanto al telefono, al vecchio nero telefono a muro in bachelite, oggetto sconosciuto ai giovani della generazione Z. Gli oggetti nascono e muoiono, come ci racconta Massimo Mantellini nel suo breve e brillante saggio Dieci splendidi oggetti morti uscito per Einaudi. Non voglio svelarli tutti, farò riferimento solo ad alcuni perché parte del gioco consiste nel provare a pensare quali sono, secondo l’esperienza di ciascuno, gli oggetti scomparsi negli anni portandosi via l’universo di significati, sentimenti e relazioni che rappresentavano. A proposito di telefoni e telefonia fissa l’autore racconta una scena del film di Luigi Comencini
Lo scopone scientifico nel quale il telefono a muro del bar di un povero quartiere romano, subito sotto la villa di una miliardaria americana, è il luogo principe delle relazioni. Chi ha la cornetta in mano racconta alle persone presenti in quel momento come sta andando la partita a carte fra la ricca Bette Davis e lo spiantato Alberto Sordi. Altri tempi, altri mondi e se anche ricordo con una certa nostalgia il dito infilato nei fori per spingere il disco combinatore e comporre i numeri, il primo tra gli oggetti morti che mi sono venuti in mente è il walkman blu argentato della Sony con le cuffie di spugna arancioni che mio padre mi regalò di ritorno da un viaggio di lavoro a New York.
Quel walkman è stato un compagno di musica e di avventure per tanti anni, in realtà lo è stato per molti, il musicassette portatile fu un’icona giovanile degli anni Ottanta. Chi non ricorda la scena epica del film Il tempo delle mele in cui il bel Mathieu mette le cuffie alla romantica Vic tutta frangetta, chi per un attimo non ha sognato di fare quel ballo e di avere una nonna brillante e sveglia come Poupette. Io l’avevo per fortuna, mia nonna Inge, è stata lei in gran segreto a portarmi al cinema in una sera d’estate, guai se fossero venuti a saperlo i miei! Pensare che non parlava neanche una parola di italiano. Ha ragione Mantellini quando nell’incipit ci dice che «Gli oggetti collegano tempi differenti. Disegnano la traiettoria della bellezza. Ogni tanto muoiono».
Dicevo di non volerveli svelare tutti, abbiamo parlato del telefono ora scelgo il fazzoletto, non uno qualsiasi, il fazzoletto di Herta Müller. Il saggio rievoca il discorso che la scrittrice tedesca di origini rumene fece in occasione della consegna del premio Nobel per la letteratura nel 2009 all’Accademia di Svezia. Racconta la scrittrice di come la madre tutte le mattine usava metterle in tasca il fazzoletto. Il fazzoletto simbolo dell’amore familiare che da quel momento ha sempre rappresentato per Herta Müller un saldo punto di riferimento, un piccolo universo di simboli affettivi e identitari. Per questo ha sempre il fazzoletto con sé e quando i servizi segreti la costrinsero a licenziarsi dal suo lavoro di traduttrice e misero nel suo ufficio un ingegnere, lei prese dalla tasca il suo fazzoletto, lo spianò per bene e ci si sedette sopra con i suoi dizionari accanto ai gradini delle scale della fabbrica dov’era stata licenziata.
Oggi i dizionari sono digitali e lavorare ovunque tranne che in ufficio va di moda. Io non ho mai avuto l’abitudine di portare con me un fazzoletto mentre ai miei nonni non mancava mai. Se chiudo gli occhi riesco ancora a sentirne la morbidezza sulla pelle e quel profumo di fresco che solo il bucato di mia nonna aveva: «Esiste un legame indissolubile tra gli oggetti e le persone che li hanno posseduti, una relazione che si sostanzia in piccoli segni fisici».
Continueremo il discorso nella prossima puntata, nel frattempo, se avete voglia, pensate ai vostri oggetti morti e leggete il libro.