Il 5 settembre gli inglesi sapranno il nome del loro nuovo primo ministro, che prenderà il posto di Boris Johnson: la scelta è tra l’ex cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak e la ministra degli Esteri Liz Truss. Ma non saranno gli inglesi a decidere. Il compito spetta agli iscritti al Partito conservatore, circa 200 mila persone che nelle prossime settimane saranno analizzate minuziosamente, per capirne gli umori. La procedura non è tra le più democratiche, ma almeno è ordinata e con scadenze chiare, un lusso se si pensa che l’instabilità è il pericolo più infido in occidente, ancor più ora che il presidente russo Vladimir Putin considera il caos un’altra arma nel suo brutale arsenale. Restano le grandi divisioni all’interno dei Tory, che si sono contati e combattuti durante le loro primarie delle ultime settimane (nelle quali hanno votato solo i deputati) e che hanno mostrato un bizzarro sostegno allo stesso Johnson, che ha fatto i suoi saluti ufficiali ai Comuni. I conservatori hanno voluto spodestare il loro premier dopo i troppi scandali, hanno scritto lettere pesantissime contro Johnson e la sua mancanza di integrità, l’hanno portato alle dimissioni e poi hanno iniziato a litigare, qualcuno anche a pentirsi.
Ora però non è il momento dei rimpianti. Sunak è il candidato da battere, il più popolare tra i deputati ma il più detestato dai johnsoniani: le dimissioni dell’ex cancelliere dello Scacchiere hanno attivato l’effetto domino che ha portato al cedimento di Johnson. Ma il lavorio di Sunak era cominciato tempo prima, anche se era rimasto impigliato anche lui in qualche scandalo, e pare che il regista di questa operazione sia l’ex superconsigliere di Johnson, Dominic Cummings, l’architetto della Brexit. Seguire i giochi di potere britannici è divertente e faticoso, ma in questo caso basta sapere che Cummings prepara il piano per cacciare Johnson, che aveva aiutato a vincere le elezioni, da almeno due anni e che Sunak è stato uno dei suoi strumenti principali. L’ex alleato Cummings, la sua voglia di vendetta, il giovane ambizioso Sunak dall’aria pulita (non pulitissima, ha una moglie molto ricca che non paga le tasse nel Regno Unito): una pozione fatale. E infatti così è andata, ma oggi l’ex cancelliere vuole smarcarsi dal recente passato e proporre una formula nuova, senza gli eccessi di Johnson, con un piano economico che lui definisce «non fantasioso» anche se tradisce (ancora) la promessa della campagna elettorale di non alzare le tasse.
Il piazzamento di Liz Truss al secondo posto nelle preferenze dei deputati è invece una chiara vittoria dei johnsoniani: le primarie di Truss non sono andate molto bene, non ha scelto uno slogan efficace né una caratterizzazione precisa e nei dibattiti televisivi non ha mostrato alcun guizzo. La favorita al secondo posto era l’ex ministra della Difesa Penny Mordaunt, l’outsider più spontanea e più liberale sui diritti rispetto a Truss (e alla maggioranza dei Tory). Ma Mordaunt non piace ai johnsoniani che si sono infine organizzati e sono riusciti a posizionare la ministra degli Esteri. La quale in realtà ha un peccato originale: era contraria alla Brexit. Poi si è convertita e, anzi, per dimostrare la sua nuova convinzione è diventata una falca anti-europea al punto da arrivare a voler stracciare il Protocollo nordirlandese, una parte dell’accordo con l’Ue che, se salta, fa crollare tutto. Thatcheriana e determinata, Truss si è costruita una rinnovata credibilità in questi ultimi mesi con la chiara posizione contro la Russia di Putin.
Ma lo slancio alle primarie le è stato dato dalla fiducia dei johnsoniani, non dalle sue idee né dalla sua ambizione. Pare però che abbia un buon consenso nella base del partito conservatore che ora è quella che deve scegliere: di certo Truss fa parte della tradizione dei Tory più di Sunak, e questo la rende forte. A meno che la base non abbia voglia di un cambiamento radicale, non tanto e non solo per le politiche da adottare, quanto per una questione identitaria: Sunak è di origini indiane e la sua ascesa sarebbe un segnale forte per l’evoluzione del progetto di diversity (di valorizzazione delle diversità) del partito conservatore, che procede per strappi. L’ex cancelliere è forte e debole per la stessa ragione e la campagna elettorale che si apre adesso mostrerà in che direzione vuole andare il conservatorismo britannico. Senza troppe ingenuità: è in corso una resa dei conti, Johnson afferma che non sta seguendo la sua successione ma mente. La segue e la vuole determinare, ora anche lui ha una vendetta da compiere.