Gentile professoressa,
forse sono pensieri d’estate, forse mugugni di un’aspirante nonna, ma le mie due figlie, ora in vacanza, partiranno in autunno: una per la Spagna a Barcellona, l’altra per l’Olanda a Utrecht, ma di fare un figlio non se ne parla.
Eppure sono «fidanzate» da tempo e prossime ai quarant’anni. Possibile che non sentano l’orologio biologico suonare l’ultimo minuto? Probabilmente le priorità sono cambiate e noi, della vecchia guardia, non riusciamo più a stare al passo coi tempi. / Gisella, una nonna mancata
Cara Gisella,
come dice un ritornello «mai dire mai». È vero che dopo i 35 anni calano le probabilità di restare incinta ma certo non si annullano allo scoccare dei 40. Non lasci trapelare la sua impazienza: otterrebbe l’effetto contrario. Ogni attesa ha i suoi tempi, non sempre razionali e calcolabili. Esprima alle sue figlie fiducia e speranza perché è proprio la difficoltà di delineare un futuro a lunga scadenza a indurre le giovani donne a rinviare la maternità a «data da destinarsi», col rischio di essere coinvolte in un progetto così coinvolgente mentre sono impegnate a fare altro.
D’altra parte, come cerco di mostrare nel mio ultimo libro L’ospite più atteso noi stesse, madri e nonne, non siamo estranee a questa situazione. Per certi versi l’abbiamo provocata.
I motivi che disincentivano le nascite sono tanti (crisi economica, disoccupazione, precarietà, costo degli alloggi, fragilità della famiglia) ma non sufficienti a spiegare un fenomeno così complesso. In fondo anche in periodi più difficili, come nel primo dopoguerra, le coppie non hanno rinunciato a mettere al mondo bambini. In questa decisione intervengono anche motivazioni psicologiche e proprio su queste dobbiamo interrogarci. Dalla seconda metà degli anni Settanta, a opera del Movimento delle donne, è iniziata una profonda critica alla subordinazione femminile, attribuita soprattutto al maschilismo della famiglia patriarcale. Per la prima volta nella storia dell’umanità tutte le donne, non solo le più forti e privilegiate, hanno preteso, e spesso ottenuto, di realizzare le loro potenzialità sulla scena del mondo. Non soltanto nella casa e nella famiglia.
In quell’atmosfera di progresso civile, abbiamo sollecitato le nostre figlie a rendersi indipendenti, a studiare, trovare un impiego soddisfacente e fare carriera. La motivazione è stata così convincente da mettere in ombra l’altra parte della femminilità, quella materna.
Per ovviare a questi inconvenienti si possono fare molte cose ma mi sembra prioritario aiutare le giovani donne a recuperare pensieri e sentimenti materni. Risulta tuttavia difficile prepararle a divenire madri in una cultura in cui questa dimensione dell’esistenza trova ben poca considerazione.
In particolare la gravidanza è stata affidata alla gestione medica che, con continui controlli, crea non poche ansie nelle pazienti. Dovrebbero vivere la gioia dell’attesa ma spesso non sono più capaci di aspettare. In un clima di fretta e d’impazienza la gravidanza viene considerata un compito da eseguire in sordina, senza rinunciare nel frattempo ad altre priorità. Un commento abbastanza frequente, apparentemente lieve ma in realtà preoccupante, che capita di ascoltare è questo: «ho vissuto i nove mesi come niente fosse». Ove il «niente» annulla la disponibilità, l’introspezione, l’immaginazione, la narrazione. Molte continuano a lavorare, viaggiare, uscire la sera, ballare, calzare tacchi a spillo, dimenticando che quanto sta avvenendo dentro di loro è molto più importante di quanto accade fuori. Sappiamo che il «cordone psichico» che collega madre e feto svolge una funzione fondamentale nello sviluppo di entrambi. Nell’ultimo trimestre di gravidanza, il nascituro avverte le tensioni, le emozioni, gli eventuali traumi vissuti dalla madre ma non è in grado, per l’immaturità del suo apparato psichico, di elaborarli da solo. Spetta allora alla mente della gestante provvedere, per entrambi, ad ammortizzare l’impatto. Sappiamo inoltre che, quando l’attesa non rimane uno spazio vuoto, ma è animata da prefigurazioni, emozioni e progetti, l’incontro madre-figlio, subito dopo la nascita, sarà più caldo, intenso, reciproco.
Per queste e altre ragioni è importante che tra le generazioni di donne riprenda a scorrere il filo rosso dell’amore. Nonne, madri, figlie e nipoti si formano l’una dentro l’altra, come rivelano le bambole russe, le matrioske. Scordarci questa implicazione vuol dire smarrire noi stesse. Solo un dialogo tra donne può recuperare la possibilità, non l’obbligo, di diventare madri. Se vogliamo essere in grado di scegliere dobbiamo confrontare per tempo le due eventualità, il sì e il no, senza lasciarci condizionare da esigenze sociali indifferenti ai desideri profondi delle persone.