Il dente di leone gigante a Mendrisio

/ 03.04.2017
di Oliver Scharpf

Nei prati, in questi giorni, si acciuffano con gli occhi i punticini di giallo dei denti di leone (Taraxacum officinale). Un tarassaco gigante invece, in una corte di Mendrisio, è in fiore tutto l’anno. Dal cinque giugno 2014 fiorisce perenne sulle mura passando oltre due balconi e salendo su fin quasi al tetto. È l’opera di Mona Caron: giovane muralista e illustratrice di Intragna trapiantata a San Francisco. Alcuni acheni in volo del suo dente di leone murale li potete cogliere, dipinti, già alla stazione di Mendrisio dove sul binario due metto piede una di quelle speranzose mattine come solo ai primi di aprile. Ne avevo in mente uno che avevo intravisto tempo fa ma non lo trovo più, ne trovo un altro, dietro l’angolo della stazione. Sarà grande cento volte quelli che soffiavamo da bambini.

I soffioni, che magnifica ossessione rimasta nel cuore. È da lì forse che nasce la mia stima per questa comunissima erba dalle proprietà depurative e diuretiche. Insalata matta del resto è uno dei suoi tanti nomi, tra i quali amo in particolar modo quello usato spesso in francese, piscialetto. Tra l’altro sui soffioni Alberto Nessi ha scritto una bella poesia intitolata proprio Soffioni (2000) e mia mamma, oltre alle foglie in insalata, utilizza i fiori per fare un’ottima marmellata. Dieci minuti neanche a piedi ed ecco la corte di via Pontico Virunio numero uno dove il murale di Mona Caron, commissionato dalla Fondazione Agnese e Agostino Maletti, ha trovato il suo habitat. Più che il fiore, su in alto, sul muro di una casa settecentesca che ospitava un tempo l’Antica Osteria del Leone Barberini e oggi un’enoteca, riempiono gli occhi le foglie verdi dentellate. Sono nove, spuntate accanto al tubo pluviale e cresciute a dismisura, fuori scala. C’è un altro fiore in boccio ed è raffigurata anche la sua fase soffione, un po’ spennato, per via degli acheni sparsi in giro.

Il dente di leone gigante a Mendrisio (359 m) sembra a metà strada tra la meravigliosa pazienza delle illustrazioni botanico-scientifiche dei libri ottocenteschi e l’esuberanza del muralismo messicano degli anni Trenta del quale sono noti i nomi di Rivera, Siqueiros, Orozco. Sempre Alberto Nessi, nel suo scritto letto il giorno dell’inaugurazione e pubblicato il giorno dopo sul «Corriere del Ticino», utilizzava a giusto titolo la parola «danza»: La magica danza sul muro del tarassaco officinale. In questi anni si è formata una specie di compagnia di danza a distanza fatta da piante selvatiche murali, una costellazione di fiori umili che dal cosiddetto «magnifico borgo» ci conduce innanzitutto a Malvaglia. Dove sulla casa Merogusto di Meret Bissegger – nota autrice di La mia cucina con le piante selvatiche (2011) nonché sorella di Mona Caron – svetta un delicato raponzolo montano (Phyteuma betonicifolium). Poi una linea parte dritta verso un ex lebbrosario di Barcellona dove è pennellata un’ortica (Urtica dioica).

Da lì il tragitto diventa transatlantico e porta a Portland: sul vecchio ufficio postale in mattoni s’innalza sinuoso un enorme garofanino maggiore noto anche come Erba di Sant’Antonio (Chamerion angustifolium). Il grazioso azzurro del fragile fiore della cicoria selvatica (Cichorium intybus) lo trovate invece per strada, sulle mura rossastre all’esterno di uno studio di registrazione di Asheville, Carolina del Nord. A San Francisco infine volteggiano una piantaggine (Plantago lanceolata) gigante su un palazzo moderno, un grespino comune (Sonchus oleraceus) dentro l’Equator café, e su due ripostigli sui tetti una lappolina americana (Coronopus didymus) e un grespino spinoso (Sonchus asper).

La botanica minore che giganteggia sulle città: una specie di rivincita delle erbacce messa in atto con acrobatica minuzia da Mona Caron. Com’è successo filologicamente a Union City, dove la muralista di Intragna, attorno all’edificio dove le è stato chiesto di realizzare un murale, trova un’unica pianta. La Amsinckia menziesii, nativa della California. E allora la rimette in scena sul nuovo palazzo ingigantendola a più non posso. Tornando al nostro monumentale, iperrealistico e al contempo fiabesco piscialetto, va detto, che qui ben si accorda alle persiane, il verde delle sue grandiose foglie danzanti. Proprio in un cortile, carcerario però, il protagonista recluso del racconto Die Hundeblume (1944) di Wolfgang Borchert s’innamora di un Taraxacum officinale che arriva a chiamare «una geisha in miniatura».

Nella parola di origine greca tarassaco sono combinate infatti due parole: rimedio e scompiglio. Un valido motto da utilizzare magari, ogni tanto, anche per la vita in generale. Oggi prima di pranzo, neanche a dirlo, passo nei prati a raccogliere qualche ciuffo d’insalata matta. Due uova sode sopra, un filo d’olio d’oliva, una spruzzata di limone. Ci andrebbe anche qualche pezzetto di pancetta o meglio ancora, guanciale, ma sono in fase salutista e va bene così.