Fedora è l’opera che inaugura, nel luglio 1926, il nuovo padiglione liberty a Bognanco. Località discosta dell’Ossola il cui nome, a quei tempi, lo si poteva leggere per le strade del Greenwich Village di New York. A grandi lettere, sul manifesto pubblicitario della Fonte Ausonia. Ma la vera storia delle acque minerali di Bognanco inizia una giornata dell’estate 1863. Quando la giovane Felicita Pellanda della Possa, pascolando la sua unica capra scopre per caso, non lontano dalle rive del Bogna, una sorgente d’acqua frizzante. Don Fedele Tichelli, parroco appassionato di scienze naturali, ne riempie un fiasco etichettandola come «acqua gazosa di Bognanco» e la fa analizzare da un chimico vallesano. Il responso del dottor Brauns di Sion è entusiasta, definendola, oltre che di tipo minerale alcalino-ferruginosa acidula, «un tesoro ignorato per troppo tempo». E così dunque, come dice il titolo di un valzer composto da Giuseppe Menozzi per l’inaugurazione in grande stile del Kursaal nell’estate 1894: Tutti a Bognanco. Nessuno a Bognanco, a parte me che accompagnato da una canzone dei Verve alla radio, scendo dal minibus salito su a tutta birra da Domodossola per la contorsionista Val Bognanco.
Il Grande Albergo Milano è in rovina, una marea di imposte chiuse di altri alberghi idropinici, nessun bar, ristoranti niente, c’è solo un negozietto di alimentari di quelli ancora con le liane pelose all’entrata. Sulla strada mi scolo un chinotto e contemplo lo sfacelo spirituale emanato dagli edifici trascurati. Harabolos Melenos c’è scritto all’altezza del committente, sul cartello di un cantiere arenato a proposito della ristrutturazione dell’ex hotel-ristorante Centrale : è l’imprenditore greco che da anni tenta il rilancio dopo il fiasco del discusso manager laziale Ciarrapico. Scendo degli scalini e un vecchio ippocastano rincuora un attimo, poi l’entrata alle fonti è così di cattivo gusto che leva ogni possibilità al benessere. Sulla sinistra lo stabilimento per imbottigliare l’acqua. In fondo al viale avvisto il vecchio padiglione Rubino e un po’ mi risolleva con la sua struttura ottagonale di legno bianco che rispecchia lo stupore di quando l’ho visto in foto. È stato chiamato così in onore di Ernesto Rubino (1869-1927): industriale biellese dell’acciaio che è stato presidente della società Acque e Terme dal 1919 alla morte. Il suo nome, identico al prezioso minerale, è legato anche a un’automobile da montagna fallimentare. Ma prima di entrare nel dancing Rubino, come è stato ribattezzato negli anni del liscio imperante, svolto a sinistra nel padiglione Carlo Angela. Medico condotto per qualche anno qui, eroe antifascista, e papà del soporifero divulgatore scientifico televisivo Piero, superato in noia mortale solo dal figlio paleontologo Alberto.
Soffitti altissimi, tante sedie e tavolini da trattoria, ben pulito e in ordine, vuoto. Qui in fondo ci si serve delle tre fonti : Ausonia, San Lorenzo, e Gaudenziana. La Gaudenziana «stimola la diuresi ed è indicata nelle malattie renali e delle vie urinarie. Si consiglia di bere un bicchiere in un sorso solo e stando seduti». Così per sport, mi siedo e ne bevo d’un fiato un bicchiere. La San Lorenzo ha un’azione terapeutica su intestino, fegato, vie biliari e pancreas e si consiglia di berla solo al mattino a digiuno. Mi dedico allora esclusivamente alla rinomata Ausonia che inoltre «va bevuta sorseggiando e passeggiando». E via allora, vagabondo bevendo Ausonia. Fuori le solite sedie e tavolini di plastica bianca deprimenti e gerani striminziti. Lo scorcio del nuovo complesso termale è atroce, un’accozzaglia di stili senza stile. La piscina è da incubo, perdipiù rovina la vista del delizioso dancing Rubino disegnato negli anni venti dall’architetto senese Fulvio Rocchiggiani (1868-1947). Il frizzante frontone d’entrata è in stile chalet, il resto orchestrato a graticcio con vetrate spaziose. La cupola a vetri colorati è coronata da un parafulmine a pon pon. Alle spalle, pinete digradanti.
Verso l’ora di pranzo a settembre inoltrato, butto così un occhio dentro il dancing Rubino di Bognanco (663 m). Piange un po’ il cuore: hanno tappato lo spazio della cupola con delle assi. Una palla da discoteca è lì appesa. In agosto hanno fatto diverse serate danzanti con Lando Landi, una con il Duo Arcobaleno, e c’è stata anche la quarantottesima edizione della gara di torte. Nonostante tutto, da fuori, è ancora in gran forma. Starei ore a guardare le losanghe di legno che s’incrociano in cerchi. Del resto il liberty prealpino del Rubino, tra declino idropinico e alluvioni varie, è l’unica vera traccia grandiosa rimasta della gloria perduta di Bognanco Fonti. Quando c’erano quattordici alberghi, un cinema teatro, tennis, sale biliardo, fontane zampillanti fino al cielo, opere, operette, boogie-woogie indemoniati, vestiti a pois, bicchieri di vetro. Un irriducibile bevitore di acqua gazosa si dirige a stento, barcollando in bermuda a fiori, verso il padiglione Angela. Il Bogna, qui sotto a fianco, scorre immutabile.